Spazio satira
Tutto il resto è gioia. Cantante, presentatore, artista. Oreste Datti è il Califfo ciociaro
16.12.2016 - 18:00
Occhiali da sole, gilet, collana a girocollo con perle e crocifisso (ad effetto), bracciali e anelli. Oggetti a cui non rinuncerebbe mai sul palco. E non rinuncerebbe mai neanche a trasmettere quel sorriso che, in ogni contesto, regala durante gli eventi e le iniziative che lo vedono protagonista. Cantante, presentatore, ideatore di manifestazioni. È un tuttofare Oreste Datti di Ferentino, in arte il Califfo ciociaro, pronto a tagliare mezzo secolo di vita il prossimo anno.
Impossibile non rimanere stupiti dal suo modo di vestire, di parlare, di muoversi, di cantare. È simile al vero Califfo, Franco Califano, scomparso tre anni fa. Ma non solo brani del cantautore Califano, Datti si esibisce anche con altri testi di musica leggera.
Oreste Datti, artista, cantante, presentatore. Cosa mette al primo posto?
«Per me sono tutte sul primo gradino, poiché faccio tutto con il cuore, cercando di metterci sempre professionalità».
Il suo nome d'arte è il “Califfo ciociaro”. Come nasce questo nome?
«Il Califfo ciociaro nasce dalla mia amicizia fraterna con l'indimenticato maestro Franco Califano, coronata dal bellissimo gesto che ha fatto diventando padrino di battesimo di mio figlio Federico Franco».
Tre aggettivi per descriverla...
«Estroverso, ordinato e sempre sorridente».
Il momento più bello della sua carriera di artista?
«L'esibizione su RaiUno in prima serata il 4 dicembre 2004, nella trasmissione “I raccomandati” condotta da Carlo Conti con il brano “Tutto il resto è noia” accompagnato sul parterre dalle soubrette Francesca Chillemi e Giorgia Palmas».
Il complimento più bello ricevuto?
«Di essere sempre disponibile e pronto a mettermi in discussione».
Quando è iniziata la sua passione per la musica?
«È iniziata un po' tardi, a trent'anni, ma ho dato subito impulso alla mia passione canora studiando canto e coronando il sogno di scrivere e incidere una canzone autobiografica “Il bicchiere... di malinconia”. È la mia canzone autobiografica. L'ho scritta di notte, nell'estate del 2006, dopo la prematura scomparsa della mia prima moglie, Stefania, venuta a mancare dopo aver dato alla “luce” Federico Franco. Il titolo è una metafora: come un amaro calice da ingoiare, ma sempre pronto a ripartire, non arrendendosi mai. Questo sono io!».
Ci descrive in breve l'armadio del Califfo ciociaro?
«Giacche e camicie con collo alla coreana, camicie, maglie e cravatte coreografiche, jeans e pantaloni. Prediligo il colore nero».
Un messaggio ai giovani che come lei vorrebbero far parte del mondo della musica e dello spettacolo?
«Di essere sempre umili e prendere la passione artistica soprattutto per divertirsi e sentirsi bene “dentro”».
In tante serate è protagonista sul tuo territorio, ma non solo...
«Sì, faccio serate anche fuori, come quella di domenica scorsa nel cassinate. Nel 2007 ho cantato e presentato anche in terra straniera, in Svizzera, al teatro di Berna e Thun nell'ambito del progetto “Giornate in terra straniera dalla Ciociaria” curate dal sodalizio “Il Cartello” presieduto dall'indimenticato amico, architetto Giancarlo Canepa e patrocinate dai Consolati italiano e svizzero».
Progetti futuri?
«Tra i progetti quello di completare e incidere un altro brano, “Un amore incompreso”. A gennaio, invece, torna a Ferentino il “Festival Artistico dell'Ep ifania" da me ideato e giunto alla dodicesima edizione, con tanti artisti emergenti. L'appuntamento, ovviamente, è il 6 gennaio».
Tutto il resto?
«È gioia».
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