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I segreti dello chef Antonello Colonna

I segreti dello chef Antonello Colonna

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I segreti dello chef Antonello Colonna

Un grande chef, ma non solo. Amante della natura, romano di nascita, ma cittadino del mondo in veste d'ambasciatore della cucina italiana. Nel 2000 è lo chef ufficiale per il Consiglio dei Ministri. Ma è anche lo spregiudicato protagonista di “Hotel da incubo”. I tanti volti di Antonello Colonna potrebbero essere racchiusi in una delle meravigliose stanze del suo resort di Labico, struttura ultramoderna con hotel, spa e ristorante su 20 ettari di terreno coltivato nella campagna romana.

Lo chef stellato, animato da una forza centripeta, riesce a portare a tavola l'arte della sensibilità mescolata a un'originalità metropolitana e a una tradizione di qualità. Con un occhio sempre aperto sul mondo e una fitta agenda di appuntamenti, raccoglie le idee davanti al camino scoppiettante del resort che per lui rappresenta la pace dei sensi. E della Ciociaria apprezza gusto, paesaggio e sapori che contaminano anche la sua cucina.

Chi è Antonello Colonna?
«Un ragazzo del '56 che non smette mai di sognare».

Tre aggettivi per descrivere la sua cucina...
«Raffinata, buona, geniale».

Un piatto ciociaro che vorrebbe rivisitare e inserire nel menù?
«La zuppa di pane e fagioli».

La sua tenuta di Valle Fredda è a pochi chilometri dal confine con la Ciociaria: ne ha subìto qualche tipo di contaminazione?
«Direi sane contaminazioni legate ai principi del territorio e delle tradizioni».

Chi è il cliente ideale del suo resort di Labico?
«Ernest Hemingway. Scherzo, è una provocazione. Sai, lui era un intellettuale del cibo e oggi purtroppo non ce ne sono molti».

Originalità o tradizione: nei suoi piatti cosa prevale?
«La tradizione per me è un ingrediente, l'originalità sta nella mia interpretazione».

Hotel da incubo: cosa le piace del programma e cosa invece cambierebbe?
«Mi piace innanzitutto girare l'Italia e capire se siamo ancora in tempo a recuperarne la sua straordinaria identità. Per il resto non cambierei nulla, è geniale».

Ha mai assaggiato un piatto da incubo?
«Se posso lo evito, tanto mi basta guardarlo».

La ricetta segreta che non svelerebbe mai, nemmeno sotto tortura è?
«Non esiste. Una ricetta è come una canzone, tutti devono ascoltarla ma non tutti sanno replicarla».

E l'ingrediente che nella sua cucina non può assolutamente mancare?
«Non è un ingrediente ma un sano strumento, il fuoco».

Chi tra i suoi colleghi chef la incuriosisce di più?
«Mi verrebbe da rispondere che sono tutti un po' curiosi e questo mi incuriosisce».

Recentemente ha inaugurato l'Open Bistrò a Fiumicino: un locale pensato per i viaggiatori del gusto?
«Uno spazio pensato in un luogo dove tutto è un po' di corsa, dove l'ansia ti avvolge e allora nulla di meglio di una pausa in attesa che il tuo volo arrivi più tardi possibile».

Cosa ha di particolare rispetto a un comune ristorante ?
«La privacy, la comodità, un servizio accogliente e uno chef stellato».

Se dovesse scegliere il piatto che la rispecchia?
«La mia cacio e pepe, due accordi e un'infinita melodia».

Chef: professione, passione o arte?
«Direi agonismo. Puro agonismo».

Quanto conta la sensibilità artistica in cucina?
«Conta solo la sensibilità. Il resto va da sé».

E la romanità nella sua?
«Quale, quella della A.S. Roma? Quella non muore mai» .

Lei ha sottoscritto con il Comune di Valmontone un accordo per valorizzare un antico tratto della via Labicana: un gesto d'amore per il territorio?
«A Labico ci sono nato io e tutta la mia famiglia (mia nonna materna era di Pofi). Dopo l'apertura del ristorante a Roma ho aspettato cinque anni e nel 2012 ci sono tornato e ho realizzato il sogno della mia vita, il mio resort. I sogni nascono e si realizzano soltanto dove sei nato».

Ma quando è lei a sedersi a tavola cosa ordina?
«Se mi trovo da un collega mi faccio guidare. In una trattoria ordino quello che non c'è».

Un buon consiglio per mangiare bene?
«Non prendere mai il piatto del giorno e il vino della casa».

Recentemente è stato a Sora: le è piaciuta?
«Sono rimasto molto affascinato. Mi sono divertito a fare tante foto che poi ho inviato ai miei amici: “Saluti da Copenaghen”. Chi mi conosce sa che vuole essere un complimento!».

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