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Cassino

Omicidio di Yirel. Il pm in aula: «Una violenza selvaggia»

Il pm Mattei porta in aula una dettagliata requisitoria: ricostruisce l’aggressione e si sofferma sugli indizi. Chiesti 24 anni di reclusione per Sandro Di Carlo, l’operaio accusato dell’omicidio di Yirel Peña Santana

Una discussione nata per futili motivi, durante un momento di intimità. «Poi l’aggressione e una violenza selvaggia». Questa la ricostruzione portata ieri in aula dal pm Alfredo Mattei che nella sua puntale requisitoria ha passato in esame gli indizi a carico di Sandro Di Carlo per poi concentrarsi sulla sua capacità di intendere e volere, prima di arrivare alla richiesta di pena per l’ipotesi dell’omicidio della dominicana Yirel Peña Santana, uccisa brutalmente a 34 anni. Accusa che il giovane ha sempre negato.

A indirizzare le indagini su di lui, un’impronta insanguinata isolata dalla polizia sul muro della stanza da letto della vittima insieme ad altri elementi. «A raccontarcelo sono gli indizi e la deduzione logica. Non abbiamo spiegazioni alternative» afferma Mattei. Attenuanti generiche (soprattutto per la scelta della difesa dell’imputato rappresentata dagli avvocati Sandro e Vittorio Salera e Alfredo Germani) ritenute equivalenti alle aggravanti: per questo la richiesta di pena è stata pari a 24 anni di reclusione. Di Carlo era, come sempre, presente in aula accanto ai suoi avvocati.

Gli indizi
Prima che si entrasse nel vivo della lunga requisitoria, a prendere ancora la parola è stato il perito Nicolucci: alla luce dei nuovi accertamenti acquisiti ha sottolineato come la risonanza magnetica ad alta definizione sia risultata al suo esame «priva di alterazioni visive», dal momento che il disturbo borderline non ha una rilevanza anatomica. «Ipotizzabile una possibile esplosione di ira in chi ha agito, non una premeditazione» ha aggiunto. Poi si è entrati nel vivo della requisitoria. «Partiamo dall’impronta papillare della mano sinistra isolata a circa un metro e mezzo sul muro della stanza da letto dove è stata trovata senza vita Yrelis. Vi sono 23 punti di corrispondenza, superiori ai 17 richiesti» afferma Mattei. Ulteriori indizi: «Gli oggetti della vittima: un orecchino d’oro, un orologio rotto, una banconota dominicana e uno slip nella sua auto. E le scarpe, quelle indossate da Di Carlo, sporche di sangue e su cui c’era del dna della vittima. E le cui suole sono risultate compatibili con le orme isolate sulla scena del crimine. Fra gli indizi assumono un valore quasi schiacciante - continua il pm - le campionature del materiale ungueale della vittima, con dna anche dell’imputato: un indice della colluttazione che ci sarebbe stata tra imputato e persona offesa». Per il pubblico ministero, inoltre, ad avere un significato molto rilevante sarebbe stato il gonfiore sulla mano destra dell’imputato. «Delle lacerazioni sulle mani: lui al gip ha detto di un incidente sul lavoro, una caduta da una pianta. Invece i colleghi non hanno confermato». Nell’esame degli indizi, continua il dottor Mattei, avrebbero importanza anche il suo atteggiamento e l’ispezione dello smartphone che racconta gli ultimi messaggi e le chiamate dell’imputato anche con Yirelis, di pochissimi secondi, prima dell’incontro.

La ricostruzione
Una lite per qualcosa da poco, poi «una iniziale aggressione e una violenza selvaggia» dettaglia in aula il pm. «Il medico legale afferma che la morte possa essere avvenuta tra le 4 e le 10 per ferite inferte con un’arma bianca ma anche per traumatismo al torace e al cranio soprattutto e per una violenza selvaggia. Una iniziale aggressione della donna, poi lo stordimento - non è escluso l’impatto con il pavimento o il muro, in una seconda fase - e le quattro coltellate. L’aggressore sarebbe stato inginocchiato sulla vittima durante la violenza». Quindi, visto che il corpo della donna era davanti alla porta, «sarebbe stato eseguito uno spostamento del cadavere con i piedi, poggiando la mano alla parete» ipotizza Mattei. Fondamentale in questa ricostruzione l’analisi delle gocce di sangue eseguito dalla Scientifica. Non meno rilevante nella requisitoria del pm l’alibi finito davanti al gip: «Di Carlo racconta al gip di aver avuto sì un incontro con la vittima, ma di aver dimenticato a casa sua il cellulare. Per questo sarebbe tornato indietro e avrebbe trovato la donna in una pozza di sangue, le avrebbe praticato un massaggio cardiaco, poi avrebbe detto una preghiera aprendo a caso una pagina della Bibbia trovata in casa. Ma non avrebbe chiamato né il 118 né le forze di polizia» forse per paura di essere coinvolto. «Eppure avrebbe tenuto con sé alcuni oggetti della stessa: una ricostruzione contraddittoria» aggiunge. E a non convincere il pm sarebbe stato anche il lasso di tempo (troppo breve) trascorso tra l’incontro tra i due, l’ingresso dell’aggressore, e il rientro dell’imputato in cerca del cellulare.

Capacità di intendere e volere
«Ben due perizie avrebbero detto come Di Carlo sia in grado di intendere e volere. I due periti nominati dai giudici hanno risposto al quesito. Il dottor Ferracuti parla di Di Carlo come di un soggetto borderline con tratti di antisocialità. Il motivo che porta a escludere l’imputabilità dovrebbe essere il nesso di casualità tra le presunte alterazioni e il fatto. Ferracuti parla di mancanza di elementi obiettivi per ricostruire il nesso di causalità. Il suo comportamento, seppur discutibile, sarebbe stato organizzato. Una patologia del disturbo di personalità esiste, ma questo non può portare ogni imputato a una deresponsabilizzazione. Serve sempre dimostrare il nesso di causalità». «Pienamente capace di intendere e volere al momento del fatto e consapevole. Non vi sarebbe stato pentimento» ha sottolineato poi l’avvocato della famiglia della vittima, Marco Rossini nella sua discussione, associandosi al pm e chiedendo un risarcimento dei danni per la mamma e i figli di Yirelis. A prendere la parola, quindi, l’avvocato Licia D’Amico dell’associazione antiviolenza “Insieme per Marianna”. Le discussioni delle difese - gli avvocati Salera e Germani - sono attese per il 2 luglio, il 21 la sentenza.

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