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Province al bivio

Sin Valle del Sacco, la bonifica che non c’è. Un’occasione persa

A 19 anni dalle mucche morte sul rio Mola Santa Maria poco è cambiato. Dagli ultimi monitoraggi sulla popolazione gli inquinanti sono diminuiti

Tutto inizia il 19 luglio del 2005. Da quel giorno l’inquinamento del fiume Sacco diventa un caso nazionale. Da allora, dall’avvelenamento di 25 mucche, trovate morte da un allevatore vicino al rio Mola Santa Maria, nelle campagne di Anagni, parte la lunga storia del Sin, il sito di interesse nazionale Bacino del fiume Sacco. Tuttavia, c’è un prologo: alcuni mesi prima, un po’ più a Nord risalendo il Sacco, era scoppiato il caso del beta-esaclorocicloesano trovato nel latte di un’azienda di Gavignano. Da lì a poco quella sostanza sarebbe saltata fuori nel latte di altre 36 imprese tra Segni, Gavignano, Colleferro, Anagni e Sgurgola. Segno che l’inquinamento non era episodico, come avrebbero dimostrato, anni dopo, le indagini epidemiolologiche sulla popolazione che vive, usa l’acqua dei pozzi e consuma cibi prodotti a ridosso del fiume Sacco. Per fortuna, da allora, qualcosa è cambiato come dimostrano gli ultimi risultati del progetto Indaco: nella Valle del Sacco diminuisce la presenza di Beta-esaclorocicloesano visto che solo il 13,7% degli esaminati presenta valori oltre i limiti contro il 34,6% delle indagini precedenti. Lo dimostrano anche le inchieste, i sequestri, le chiusure delle aziende che inquinavano. E pure lo stanziamento di 53 milioni di euro per l’Accordo di programma per la bonifica delle aree contaminate. Ma chi è dentro il Sin in questi anni ha subito due volte: per l’inquinamento e tutte le conseguenze negative che ha avuto sulla salute, ma anche per l’impossibilità di fare impresa o anche, più semplicemente, di utilizzare le proprietà per un semplice ampliamento di fabbricato. Al punto che un’azienda che vuole investire sul territorio va alla ricerca di aree al di fuori del Sin, in modo da evitare i legacci della burocrazia.

La storia del Sin
Il 19 maggio del 2005 viene dichiarato lo stato di emergenza socio-economico-ambientale nella Valle del Sacco per Colleferro, Segni e Gavignano e per Paliano, Anagni, Ferentino, Sgurgola, Morolo e Supino. Il 2 dicembre nasce ufficialmente il Sin e viene pianificato un biomonitoraggio per la contaminazione da Beta-esaclorocicloesano. Il 31 gennaio 2008 viene ridefinito il Sin “Bacino del fiume Sacco”, mentre nel 2010 viene rinnovato lo stato di emergenza, esteso anche alle aree ripariali di Frosinone, Patrica, Ceccano, Castro dei Volsci, Pofi, Ceprano e Falvaterra. Nel 2012 si conclude la prima opera di bonifica di uno dei siti, lo stabilimento Bdp di Colleferro (Arpa 1). Tuttavia, il 12 marzo 2013 l’area è declassata a Sito di interesse regionale. Una decisione fortemente contesta e impugnata davanti alla giustizia amministrativa. Il 16 luglio 2014 il Tar del Lazio annulla il declassamento. Così il sito torna a essere Sin con la competenza in capo al ministero dell’Ambiente. Il 21 novembre 2016, con decreto ministeriale, viene adottata la nuova perimetrazione. Ne fanno parte 19 comuni, per un totale di circa 200.000 abitanti su una superficie di settemila ettari, lungo tutto il fiume Sacco per circa 50 chilometri.

Il biomonitoraggio: il progetto Indaco
In accordo tra il ministero per l’Ambiente e la Regione Lazio viene stabilito un programma di studi epidemiologici e di biomonitoraggio del Beta-esaclorocicloesano. Si susseguono diverse campagne di monitoraggio, 2023-2015 e 2017-2018, mentre l’ultima, i cui risultati sono stati diffusi questa estate in un incontro organizzato dalla direzione del ciclo dei rifiuti della Regione Lazio, peraltro nella più totale indifferenza delle amministrazioni comunali (solo 4 erano presenti), è relativa agli anni 2022-2023. Nel periodo marzo 2022-giugno 2023, sono state contattate 2.310 persone, 1.260 (54,5%) delle quali hanno aderito alla sorveglianza rispondendo al questionario. In 1.176 (93,3%) hanno eseguito il prelievo nelle Asl di riferimento. A quella di Frosinone hanno risposto solo in 631, appena il 40,7%, su 1.549, con 576 prelievi effettuati. Nell’ultimo dossier si legge che: «I risultati della III fase del biomonitoraggio, condotta nel progetto Indaco, mostrano che il valore mediano della concentrazione ematica di Beta-esaclorocicloesano per comune diminuisce spostandosi nei comuni in direzione Sud lungo il fiume Sacco, e quindi allontanandosi dalla fonte di inquinamento». Cosa «evidente anche nelle fasi precedenti del biomonitoraggio (2013-2015 e 2017-2018), ma con valori di Beta-esaclorocicloesano più elevati». Con il passare del tempo qualcosa muta: i residenti «nei nuovi comuni inclusi nella riperimetrazione del Sin mostrano infatti delle concentrazioni mediane di Beta-esaclorocicloesano minori rispetto alla popolazione residente nel vecchio Sin». Diminuiscono le concentrazioni, anche se in maniera «più marcata nella popolazione del vecchio Sin. I dati di biomonitoraggio 2022-2023 mostrano che solo il 13,7% dei campioni ha un valore di Beta-esaclorocicloesano superiore al limite». Nelle indagini precedenti si era al 34,6%. Ciò si spiega - prosegue il rapporto - «dal decadimento naturale del Beta-esaclorocicloesano nel tempo». Il decremento si osserva per tutte le classi di età e i generi «pur confermando un aumento delle concentrazioni all’aumentare dell’età e maggiori concentrazioni nelle donne rispetto agli uomini». Non solo, la concentrazione più alta di Beta-esaclorocicloesano si ha anche con l’aumentare dell’indice di massa corporea e con il diminuire del livello d’istruzione. E ancora: «Le medie geometriche del Beta-esaclorocicloesano sono più alte nelle persone che hanno consumato cibi di produzione locale o che hanno utilizzato l’acqua dei pozzi per qualsiasi uso, anche se questa differenza non è statisticamente significativa nella popolazione residente nei nuovi comuni del Sin». E ancora, «nel modello aggiustato il rischio di un incremento dei livelli ematici di Beta-esaclorocicloesano diminuisce in maniera statisticamente significativa nella popolazione totale e nella popolazione dei comuni del vecchio Sin all’aumentare del livello di istruzione. Il consumo di cibi di produzione locale o propria ha un effetto statisticamente significativo solo nella popolazione dei comuni del vecchio Sin. L’uso dell’acqua dei pozzi privati per lavarsi, bere, cucinare e irrigare, risulta fattore di rischio statisticamente significativo nella popolazione totale e in quella dei vecchi comuni del Sin, ma non in quella dei nuovi comuni». Solo con nuovi monitoraggi, che dovranno essere rifinanziati, si capirà se sarà confermata la tendenza che, col passare del tempo, le concentrazioni degli inquinanti diminuiscono.

I controlli e le denunce per chi inquina
Nel tempo, complice anche una mutata sensibilità sui temi ambientali, i controlli delle forze delle ordine per stanare chi inquina sono aumentati. I controlli, le sanzioni, i processi e, nei casi più gravi, perfino le chiusure delle aziende non in regola sono un forte deterrente. I fenomeni di schiuma nel fiume Sacco, con proporzioni a volte rilevanti, non si sono più verificati. Segno che le verifiche hanno colto nel segno. Stessa cosa è successa con il depuratore di Ceccano, ora sotto amministratore giudiziario. Sono state messe in atto delle precauzioni e ora quella forte puzza che in passato si sentiva e portò anche a manifestazioni di piazza non si è più verificata. Nonostante i controlli, il fiume resta sempre inquinato e ci vorrà tempo. Ovviamente la lotta a chi inquina non si ferma come sanno bene i carabinieri forestali del Nipaaf e dei Nuclei forestali di Anagni e Frosinone.

La percezione del rischio
Il 73,8% delle persone intervistate, con il progetto Indaco, ritiene che esistano rischi per la salute nell’area, e il 39,8% ritiene di essere sufficientemente informato su tali rischi. Il 36,4% pensa che la situazione ambientale del comune in cui vive sia accettabile, il 36,8% che sia grave ma risolvibile, il 16,7% la ritiene grave e irreversibile. Dei partecipanti al progetto Indaco, il 40% ha una bassa istruzione, il 53% è occupato e il 20% pensionato, quanto alle condizioni di salute il 35% è sovrappeso e il 28% è obeso, il 21% soffre di tiroide, il 5,7% ha una diagnosi di tumore maligno. Il 57% possiede animali da cortile, il 20% usa terreni ripariali del Sacco, il 52% possiede pozzi privati, la cui acqua è usata per lavarsi dal 34%, per bere dal 3% e per irrigare i campi dal 40%. Quanto ai consumi di prodotti di produzione propria o locale è una prassi comune al 61%, mentre il 46% consuma frutta e verdura, il 45% carne, il 12% latticini e il 52% altri cibi. Un elemento quest’ultimo da considerare visto che nello studio epidemiologico del 2015, la contaminazione da beta-esaclorocicloesano è risultata «maggiore per coloro che hanno mangiato almeno un alimento di produzione propria o locale e per coloro che hanno utilizzato l’acqua proveniente da pozzi privati nell’area contaminata». Dalle analisi di allora era emersa una “tavola del rischio” di alimenti composta da formaggio, uova, carne di pollo, di manzo, di maiale e di pecora, verdura, fresca e cotta.

Gli interventi da fare
Gli interventi puntuali sulle aree da bonificare, alcuni in corso, altri programmati, riguardano i siti di Ceprano ex Europress, ex Industrie Olivieri ed ex cartiera Vita Mayer, quelli di Ceccano ex Annunziata ed ex Snia Bpd, Ferentino ex cartiera, Anagni ex Polveriera, Paliano Ponti della Selva e Frosinone ex discarica di via Le Lame. Su quest’ultimo sito, peraltro, si registrò il 15 luglio 2015 la visita della commissione bicamerale d’inchiesta sul ciclo dei rifiuti. Gli interventi, per 9 lotti funzionali, rientrano nell’accordo di programma tra il ministero dell’Ambiente e la Regione Lazio per la messa in sicurezza e bonifica del Sin, accordo sottoscritto il 12 marzo 2019. Sono a disposizione 53.626.188 euro di cui 16.300.000 sulle risorse programmate nel piano operativo “Ambiente” - sottopiano “Interventi per la tutela del territorio e delle acque”, 10.000.000 sulle risorse stanziate con la legge di stabilità del 2016, 16.300.000 del Patto per il Lazio, 11.026.188,68 di risorse dell’ex contabilità speciale dell’ufficio commissariale, ordinanze del capo del dipartimento di protezione civile. Nell’accordo si individua la Regione Lazio come responsabile unico dell’attuazione degli interventi.

Gli industriali: perimetrazione eccessiva
Chi spinge per una riperimetrazione del Sin e, da sempre, sostiene come le restrizioni abbiano pesantemente condizionato le realtà economiche del territorio è Unindustria. Corrado Savoriti, presidente di Unindustria Frosinone spiega: «Stanno procedendo le attività di caratterizzazione per la determinazione dei valori di fondo nei terreni Sin. Il nostro auspicio è che tali attività dimostrino come effettivamente l’area abbia avuto una perimetrazione eccessivamente estesa. La speranza è che si possa arrivare ad una futura esclusione di alcune aree dal Sito di interesse nazionale che nel tempo ha generato danni economici, senza arrecare un effettivo beneficio ambientale, creando così delle ripercussioni negative per le aziende e per l’economia del territorio».

Gli architetti: costi proibitivi per i privati
«Siamo andati nella direzione della semplificazione delle procedure con il decreto “Interferenze” - spiega Luigi Di Lorenzo, tesoriere dell’ordine degli architetti di Frosinone - Quello che era impossibile fino a cinque anni fa, ora è fattibile. Sono ammesse deroghe per determinati interventi minori. L’apertura del ministero c’è stata». Resta il problema dei costi. «L’ostacolo grande sono i costi per il privato. Un’analisi minima può costare anche 17.000 euro. Costi proibitivi per un privato che deve fare un investimento limitato, ad esempio un ampliamento del 20% di un fabbricato come ammesso dalla legge sulla rigenerazione urbana, cui vanno aggiunti i costi per i carotaggi, l’installazione dei piezometri e la validazione delle prove dell’Arpa. Mentre, una grossa impresa che fa un investimento milionario potrebbe sostenere la spesa». Il problema delle analisi. «Il numero delle analisi è rimasto lo stesso. Il punto è che un eventuale inquinamento può essere giustificato dai valori di fondo. Nei nostri terreni, per esempio, c’è tanto arsenico, che però fa parte dei nostri terreni vulcanici». Per ovviare al problema e semplificare le procedure si era pensato a un coordinamento delle professioni per il Sin, il Co.Pro.Sin con il coinvolgimento di architetti, ingegneri, geologi, chimici-fisici, geometri, periti industriali, forestali e agroforestali. Poi il Covid ha bloccato tutto.

Ruspandini (FdI): «Un recinto negativo»
Bonificare e non bloccare le aziende, il deputato di FdI Massimo Ruspandini analizza così la situazione nella Valle del Sacco.
«Se il Sin all’inizio era un atto dovuto per la criticità ambientale, alla fine si è rivelato un recinto negativo per le aziende. Si è buttato il bambino con l’acqua sporca». Obiettivo bonifica. «Come detto in questi anni in Parlamento bisogna accelerare i tempi della bonifica e liberare questo territorio dai vincoli. Solo per mettere un cancello un’azienda che ricade nel Sin spreca un anno di burocrazia. Ora siamo arrivati in una fase complessa. Con i passati Governi oltre a non risolvere i problemi della bonifica, che non è facile, in più ha bloccato le aziende». In passato c’è stato l’impegno per sollevare la questione ambientale. «In passato noi siamo stati gli unici a connotarci per l’impegno nella battaglia ambientale. Le manifestazioni clamorose di Ceccano, quello di Fiordalisio a Patrica. Abbiamo organizzato manifestazioni clamorose negli anni». E adesso? «Stiamo monitorando perché si arrivi a una soluzione, c’è più consapevolezza e noi saremo particolarmente attenti alle Valle del Sacco».

Bonifica sì, riperimetrazione no
Il deputato del Movimento 5 Stelle Ilaria Fontana ricorda l’Accordo di programma tra ministero dell’Ambiente e Regione Lazio nel 2019 e, «poi, da sottosegretaria, nel 2021 l’addendum per focalizzare interventi più specifici». La Fontana, così come le associazioni ambientaliste, è contraria alla riperimetrazione. «Pessima l’idea di Zingaretti di un nuovo perimetro del Sin. Ora, che il mio ruolo è cambiato ho presentato una serie di interrogazioni. Il soggetto attuatore, la Regione, va lentissima. Alcune cose vanno avanti come il campionamento con il monitoraggio sulle acque. Mercoledì ho avuto dal Governo la risposta a una mia interrogazione». Il deputato interveniva sulla messa in sicurezza dell’ex discarica di Frosinone, che rientra nel Sin e nelle attività dell’Accordo di programma. Tenuto conto che la Provincia «ha dato atto dell’impossibilità di certificare l’adeguatezza e l’efficacia degli interventi previsti nei progetti di messa in sicurezza d’emergenza del sito» e di «una serie di carenze» nel piano di caratterizzazione.

La risposta del ministro
Nella risposta sull’interrogazione per via Le Lame, il ministro dell’Ambiente Gilberto Pichetto Fratin sostiene che «La Regione Lazio ha espletato la gara per la messa in sicurezza e caratterizzazione ambientale della discarica, che prevede anche auna parziale rimozione dei rifiuti. Le attività di caratterizzazione risultano avviate e gli esiti costituiranno elementi utili alla progettazione». Ricorda che la Provincia di Frosinone che le attività per «individuare il responsabile della contaminazione, al fine di attuare l’intervento in danno del soggetto responsabile, sono in via di definizione». Tuttavia, sottolinea il ministro, «la Regione Lazio, il 9 luglio 2024, ha ulteriormente sollecitato la Provincia di Frosinone con emissione della diffida-ordinanza».
Infine, «il Mase si sta interessando affinché l’intervento di messa in sicurezza della discarica prosegua con celerità, dovendo comunque attendere gli esiti della caratterizzazione».

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