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L'approfondimento

Lino Banfi nella commissione italiana per l'Unesco: e il web si scatena

Dopo l'annuncio, qualche settimana fa, durante la convention dei 5 stelle sul reddito di cittadinanza, sui social critiche e humour a non finire

Platea di colletti bianchi e espressioni sostenute. 22 gennaio. Siamo alla convention dei 5 stelle sul reddito di cittadinanza quando il vicepremier Luigi di Maio invita sul palco un ospite inaspettato, pesce fuor d'acqua in quella vasca seriosa di norme di decreto e cifre altisonanti. È Lino Banfi che dal piccolo schermo, e dalla prima fila in cui segue rilassato il convegno, raggiunge il palco per ricevere una nomina che lascia perplessi i presenti (e i cittadini poi non ne parliamo…).  ‘'Lino Banfi siederà al tavolo della Commissione italiana per l'Unesco'', questo è quanto.

Un applauso di circostanza e sulla tastiera valanghe di critiche e humour a non finire. Subito il web si scatena, e se i più benevoli invocano nell'immediato, con divertimento, una prossima candidatura di Alvaro Vitali alla Presidenza della Repubblica e Edwige Fenech alle pari opportunità, i benpensanti con la puzza sotto il naso e mani sulla testa non nascondono il disappunto. Niente laurea cum laude o occhiale a fondo di bottiglia per il commissario fresco di incarico, nessun saggio-macigno che gli si affaccia dal taschino e una competenza della lingua inglese che si ferma al ‘'Thank you, very much'' ma poco importa. Lino Banfi, attore nativo di Canosa di Puglia, classe 1936, è uno di casa e il vicepremier sceglie proprio lui, suo idolo di sempre, per rappresentare l'Italia e preservarne uno degli aspetti più preziosi: la stima di cuore, quell'attaccamento solidale che ci fa apprezzare chi fa dell'allegria il suo contributo alla comunità. Un sentimento rassicurante custodito nel repertorio nazional popolare di figure e pellicole che hanno risollevato l'umore degli italiani sin dall'epoca degli anni piombo, periodo in cui sbocciò controcorrente il germoglio della ‘'commedia all'italiana''.

La convocazione di Banfi ai piani alti dell'istituzione ripercorre come paradosso l'avventura di Oronzo Canà, icona cui prestò il volto nel 1984. Un ruolo di responsabilità sopraggiunto tra capo e collo a cui Banfi, stavolta nella sua pelle, non si sottrae, proprio come l'Allenatore nel pallone sul campo da gioco, quando accettò la sfida di portare alla salvezza la Società Sportiva Longobarda. Il riconoscimento si pone a coronamento di una carriera cinquantennale costruita all'insegna della leggerezza e dell'avanspettacolo. Un linguaggio frivolo che il pubblico ha imparato ad amare e preservare come patrimonio di ilarità, di aggregazione, di gag e tormentoni intramontabili che ognuno di noi almeno una volta si è trovato a rievocare in compagnia.

Nonno Libero estrae fuori dall'armadio il vestito buono sfoggiato alla comunione di Annuccia per ricevere l'investitura di un titolo inaspettato che il capofamiglia acquisito di mezza Italia (quella che fonde vita e tv stringendo legami affettuosi con i personaggi di fiction) assume con umiltà e consapevolezza.  «Nonno Libero mi ha aiutato a farmi abbracciare da tre generazioni. Ma sotto sotto in 60 anni di lavoro ho costruito un castello di credibilità: sono una brava persona, ho fatto sempre cose di buoni sentimenti, ho una famiglia unita, sono sposato da 56 anni, più 10 di fidanzamento, sono tutte cose che influiscono queste». I beni culturali aprono le braccia e gli orizzonti per includere tra i fondamenti di un Paese felice il valore del sorriso, dettaglio che fa la differenza nell'esaltazione della bellezza. E un po' anche ciliegina sulla torta di un'azione di governo a tratti sconclusionata, ma pur sempre genuina nei suoi slanci di populismo. Dopo anni tediosi e sfiancanti di PIL, spread e altre sigle difficili da masticare (e ancor più da digerire), frizzante come un cicchetto arriva il brindisi alla candidatura di uno dei nostri eroi nazionali. Una pagina di colore tra pile di bilanci, disegni di legge e tweet in politichese, da sfogliare senza pretese, come una parentesi di impegno bonario profuso in dialetto pugliese.

‘'Una parola è poca e due sono troppe'', ha ripetuto spesso Banfi nei panni di Libero Martini. Mentre le declinazioni di cultura in un Paese stravagante come l'Italia dimostrano di non essere mai abbastanza.

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