Permettetemi di parlare in prima persona. Una licenza e un vezzo che stavolta, vista la particolarità del caso, forse non è fuori luogo...

La vicenda di Charlie Gard, a differenza dei tantissimi che si sono schierati, suscita in me solo dubbi. Quel che noi penseremmo di fare in una situazione del genere è così relativo e soggettivo.

Francamente, non me la sento di giudicare neanche una decisione estrema come quella di lasciar finire una vita, che forse - stando all'analisi di alcuni medici - sarebbe stata una non vita. La nostra riflessione, infatti, a mio avviso non deve indugiare sulla giustezza dell'una o dell'altra scelta, ma piuttosto sullo sfondo giuridico del caso. Mi spiego: in primo luogo mi lascia spiazzato che tutto si stia compiendo contro il volere dei genitori. Non è forse lecito tenere conto delle intenzioni di chi ha a carico il minore? Poi l'altro punto fondamentale.

L'idea di staccare la spina è motivata da un elemento chiamato "accanimento terapeutico". Tale concetto non credo sia contemplato in tutti gli ordinamenti. Siamo quindi di fronte a una questione sì etica, ma anche di norme. Norme che portano a fronteggiare una scelta etica che, in un Paese diverso, forse non si sarebbe posta. Doveroso quindi ragionare sul concetto di accanimento terapeutico, senza per questo trascurare la nostra sensibilità individuale. In certi casi la legge dovrebbe saper armonizzarsi con il sentire personale. Io, ad esempio, non avrei mai il coraggio di decidere se un individuo debba vivere o morire.

Per tanto, fossi stato uno dei giudici della Corte inglese o della Corte Europea, mi sarei trovato in serissima difficoltà. Tuttavia, l'accanimento terapeutico è una categoria da non denigrare. Credo inoltre si debba avere la forza di abbandonare quella visione di stampo cattolico per la quale ogni esistenza è degna a prescindere. Ad esempio, la vita di un uomo in stato vegetativo, a parer mio non ha ragione di essere. Charlie non è un vegetale, ma presumo che la sua condizione gli determini atroci sofferenze. Ebbene, ha senso mantenere artificialmente in vita chi è intrappolato nel suo stesso corpo, chi non potrà mai alzarsi da un letto, chi, senza le macchine, non potrebbe respirare da solo?

Di fronte a questi interrogativi non faccio altro che vacillare, trovando più naturale continuare a riflettere senza additare e sospendere il giudizio.