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Omicidio Gloria Pompili: il padre dei figli della giovane chiede giustizia per la ragazza e i piccoli

L'uomo, che da tempo non viveva più con la donna, ha parlato dal carcere di Rieti dove sta finendo di scontare una condanna

Dal carcere di Rieti ha fatto sentire la sua voce il padre dei figli di Gloria, la giovane uccisa di botte nella notte tra mercoledì e giovedì scorsi. D.M., 26 anni, attualmente detenuto, ma prossimo a scontare la pena, ha dato mandato di rappresentarlo agli avvocati Riccardo Masecchia e Giampiero Vellucci. L'incarico è finalizzato a un duplice obiettivo. Da una parte, anche attraverso indagini difensive, il genitore dei due bimbi, di cinque e tre anni, intende offrire un contributo alla procura della Repubblica di Latina alla ricerca della verità e per risalire all'omicida. D'altro canto, il genitore ha chiesto giustizia per Gloria, la madre dei suoi bambini. Un gesto diretto anche a rappresentare i piccoli nell'eventuale processo a carico di chi sarà accusato di aver provocato la morte di Gloria Pompili.

Anche se la convivenza tra i due da tempo si era interrotta, l'uomo vuole conoscere cosa è accaduto quella notte per poterlo spiegare un giorno, quando i bambini saranno diventati grandi. Al tempo stesso D.M. vuole garantire vicinanza ai propri figli e per questo ha chiesto ai legali di fare il possibile per riportarlo, al più presto, a casa. Pur essendo in carcere, l'uomo ha la piena potestà dei figli minori, dei quali, una volta riacquistata la libertà, vorrebbe occuparsi in prima persona.
Attualmente, infatti, i bambini sono stati affidati a una casa famiglia e sono seguiti dagli assistenti sociali che dovranno relazione al tribunale per i minorenni di Roma. Gloria Pompili è stata uccisa per le percosse ricevute. 
Vittima di una violenza brutale senza, almeno fino ad oggi, un apparente movente. Le lesioni le hanno provocato la frattura di una costola che ha finito per perforare milza, polmoni e intestino. La donna è morta in strada, mentre dal litorale di Anzio stava facendo ritorno a Frosinone in compagnia del cognato e della cugina, marito di questa.
I due, a un certo punto, si sono accostati a una piazzola di sosta, a Prossedi, e chiesto aiuto. Ma ormai era troppo tardi.

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