C'è stato un periodo nella storia recente italiana che più di ogni altro ha saputo elevare a valore le caratteristiche dell'italianità. Ci riferiamo al periodo del cosiddetto "boom economico" tra la metà degli anni 50 e gli anni 70. Anni nei quali, messa alle spalle la tragedia immane della guerra, l'Italia ha saputo rinascere e, pur tra tante contraddizioni, dare corpo ad una crescita, non solo economica e materiale, continua e manifesta. Gli anni del miracolo italiano hanno lasciato segni importanti ovunque percepibili chiaramente anche da chi come noi sta provando a raccontare le storie del nostro calcio. Non è certo un caso che proprio in quel periodo siano nate tante società e quasi ogni paese riesce a dar corpo al sogno di far scendere in campo una squadra che ne difenda il nome e i colori. Questo nonostante in quegli anni il calcio fosse organizzato in maniera diversa e salire ad un livello di competizione sovraprovinciale non era affatto semplice.


  • 22 maggio 1966
    L'Alatri sbanca
    il Comunale di Viterbo
    e vola in Serie D per rimanervi
    nove stagioni di fila
    Questa la formazione
    che fece la storia:
    Piersanti, Messia, Mastracco,
    Minnucci B., Cella, Leoncini,
    Penserini, Rossi G., Rossi A.,
    Bertelloni, Mettus.
    Allenatore: Lo Buono

Intorno al Frosinone, che si barcamenava tra la serie C e la D, c'era davvero poco con la maggior parte delle squadre dei grandi centri comunali che si era attestata al livello del torneo di Prima Categoria, l'ultimo dei campionati dilettantistici. C'era poco abbiamo detto ma l'affermazione non è del tutto vera perchè a metà degli anni 60, e per circa un decennio, si fece spazio nell'elite del calcio regionale una squadra che ancora oggi evoca grandi ricordi e grandi emozioni. Una squadra ed una società figlia di quel tempo e animata da uomini che hanno fatto la storia del nostro territorio e del nostro sport. Stiamo parlando del grande Alatri che disputò nove campionati consecutivi in serie D dal 66 al 75. Una squadra nata intorno alla forza trascinante di un personaggio come Franco Evangelisti ma che seppe trovare sostegno concreto in tutte le componenti del paese ernico. Se capitate in piazza Regina, prima di iniziare un doveroso tour delle bellezze storico-artistiche della città, provate a chiedere ad un qualsiasi alatrense oltre i 55 anni di quella squadra e state pur certi che vi intratterrà a lungo. Anche noi abbiamo fatto un'operazione simile ma abbiamo scelto con cura l'alatrense capace di farci da guida nel ricordo di quegli anni fantastici. Perchè il nostro Cicerone odierno è uno che era in campo in quegli anni. Era uno di quei ragazzi di Alatri che, insieme ad un nugolo di calciatori venuti da fuori, ogni domenica portava in giro per l'Italia il nome della propria città. Stiamo parlando di Luigi Pica, uomo di calcio come pochi, colonna del grande Alatri e dirigente storico del sodalizio verderosa.
Luigi, da dove partiamo?
«E' il caso di partire dal campionato che ci portò in serie D: quello di Prima Categoria del 1965-66. Nel Lazio non si disputava il torneo di Promozione e c'erano due gironi di Prima. Nel girone A primeggiò la Viterbese mentre nel girone B fu proprio l'Alatri a guardare tutti dall'alto verso il basso. Per staccare il biglietto per la Serie D si giocava una finale tra le vincenti i gironi. All'andata (si giocava al vecchio e glorioso ‘Sanità') fini 0-0 e tutti davano per certa la vittoria della Viterbese e invece l'Alatri vince in trasferta e vola tra i professionisti. Al ritorno la squadra fu accolta dall'intero paese in festa per una vittoria straordinaria».
Quella vittoria aprì un ciclo di quasi un decennio.
«Furono anni irripetibili. L'avvio della prima stagione di D, pochi mesi dopo lo spareggio con la Viterbese, coincise con l'inaugurazione dello stadio "Chiappitto" che divenne il teatro delle gesta di quell'Alatri. Il paese accorreva in massa alle partite e anche le meno sentite facevano registrare presenze importanti. Inutile dire che nel caso dei derby con il Frosinone o all'arrivo di squadre come il Latina il numero di spettatori saliva dalle centinaia alle migliaia. Ma al campo si andava sempre, non solo la domenica. In settimana, finito il lavoro, ci si spostava al Chiappitto per gli allenamenti della squadra che era divenuta un vero e proprio patrimonio della città. Una cosa oggi impossibile anche solo da immaginare ma che era perfettamente in linea con un'epoca magari con meno possibilità ma certo più serena e più capace di dedicarsi alle cose piacevoli della vita».
Quali erano i beniamini dei tifosi?
«C'erano giocatori che hanno fatto la storia del calcio nel nostro paese. Il primo che mi viene in mente è Giovanni Cella, storico capitano dell'Alatri in Prima Categoria e nelle prime stagioni di D. Lui era in campo contro la Viterbese ed aveva alle spalle una storia tipica di quel periodo. A fine anni 50 era uno dei migliori prospetti della Roma ma a 19 anni si ruppe il menisco e fu la fine della carriera ad alti livelli perchè allora quella era una lesione dalla quale non ci si riprendeva più al 100%. Si ritagliò spazio in squadre di C come il Pescara e l'Avellino prima di arrivare ad Alatri grazie all'intervento di Evangelisti che ne favorì il distaccamento presso il distretto militare di Frosinone nell'anno di naja. In quell'anno di servizio militare arrivò ad Alatri e non andò più via visto che poi ha messo su famiglia da noi e ancora oggi vive in paese. Era un grande giocatore che avrebbe certamente meritato la serie A e che da noi fece vedere cose molto importanti. E poi gente come Beghelli, Cremaschi, Merlin e altri ancora. Giocatori di grande talento che davano del tu alla palla».
E poi c'erano i calciatori del paese, lo zoccolo duro della squadra...
«Si, era una nostra caratteristica quella di avere sempre almeno 5-6 giocatori alatrensi in formazione. Evangelisti con le sue possibilità faceva in modo di farci avere i migliori tagli della Roma o di altre squadre di categoria superiore ma la costanza era data dai calciatori del paese. Gente che ha davvero segnato un'epoca. Sto parlando di Nello Minnucci, con noi nei primi anni, dei fratelli Rossi, Adelmo e soprattutto Giancarlo, uno che ebbe le attenzioni del Bologna o del compianto Mauro Scerrato, uno stopper fortissimo che diede vita a duelli epici con attaccanti come Gabetto e Benvenuti del Frosinone. Ma anche gente come Alberico Pietrobono, Antonio Piccirilli, Giuseppe Pasotti, Gianni D'Alatri o Fernando Mazzocchia il bomber della squadra, un attaccante capace di segnare valanghe di gol nelle categorie minori ma di farsi valere anche con il Catania con il quel segnò 3 reti nella vecchia Coppa delle Alpi degli anni 60».
Tra quei ragazzi di Alatri c'eri però anche tu...
«Arrivai ad Alatri nel 1965 per giocare nella De Martino la seconda squadra della città. Pian piano mi feci notare e fu proprio Giovanni Cella, quell'anno allenatore e giocatore, a farmi debuttare nel 1969. Ero un terzino che scendeva poco ma che era difficile da superare in difesa. Ma quello era un calcio diverso, meno fisico ma certo più tecnico. All'epoca bisognava calciare bene per far muovere quei palloni pesantissimi e più in generale per emergere. Da questo punto di vista non c'è paragone con la serie D attuale. In ogni caso, aldilà dell'aspetto tecnico c'era l'orgoglio di scendere in campo per l'Alatri, per la squadra della propria città davanti ad un pubblico sempre caloroso che capiva quanto ci tenessimo alla maglia. Perchè squadra e città erano un tutt'uno e creavano una miscela che non si è mai più ripetuta».

(Si ringrazia Roberto Mignini per averci gentilmente concesso il prezioso materiale fotografico)

Toni Pironi