Argomenti inammissibili, infondati o non suffragati da prova. La X sezione civile del Tribunale di Roma, specializzata in diritto del mercato, ha respinto la class action azionata contro Acea Ato 5 da 282 utenti che avevano sollevato questioni relativamente a una serie di inadempimenti in materia di trasparenza, la vessatorietà di alcune clausole contrattuali e l'illegittimità del sistema tariffario applicato, chiedendo il risarcimento dei danni ipotizzati.

Il Collegio giudicante ha respinto l'azione avviata dagli utenti e li ha condannati, in solido tra loro, al pagamento delle spese di lite oltre agli oneri di legge per circa 10.000 euro. Il Tribunale ha preliminarmente ricordato i limiti e la specificità della class action, chiarendo che con tale azione può essere avanzata solo la domanda di restituzione o risarcimento. Pertanto, l'accertamento della responsabilità dell'impresa, per l'illegittimità di specifiche condotte o per il carattere vessatorio di determinate clausole contrattuali, può essere richiesto, in tale sede, solo in via incidentale, ossia in funzione delle domande di condanna al risarcimento del danno e alle restituzioni.

Sulla base di tali premesse, i giudici hanno valutato atipiche, rispetto all'azione intrapresa, tutte le domande formulate; inoltre, in merito alla lamentata vessatorietà di alcune clausole contrattuali, i giudici hanno osservato come queste riguardino casi eventuali di cui non si ha certezza della reale concretizzazione.

Parimenti, il Tribunale ha ritenuto la richiesta risarcitoria avanzata sulla scorta delle lamentate violazioni non riferibile a danni patrimoniali specifici e concreti, così da apparire invece come una domanda di risarcimento a fini meramente punitivi, non ammissibile in tale procedimento. In merito alle doglianze relative a una prospettata assenza di informazione sulle variazioni tariffarie che, per i ricorrenti, avrebbe loro precluso la negoziazione delle condizioni contrattuali, i giudici annotano come tale punto sia palesemente insussistente, dato che Acea Ato 5 opera come gestore di servizio pubblico in regime di monopolio, per cui l'utente non ha alcuna possibilità di negoziare le condizioni contrattuali e le tariffe alle quali viene reso il servizio.

Respinte anche le argomentazioni con cui si chiedeva la restituzione, a partire dal 2013, delle somme riscosse nella prospettata applicazione in bolletta del cosiddetto "minimo impegnato". Per i giudici, infatti, non è stato provato che i ricorrenti, o quantomeno alcuni di essi chiaramente individuati, non abbiano interamente consumato il quantitativo di acqua corrispondente al minimo impegnato. Perché solamente in tal caso si sarebbe potuto dire che il contestato criterio tariffario avesse comportato addebiti per consumi presunti superiori a quelli effettivi.