"Siamo nati e non moriremo mai più". Chiara Corbella Petrillo racconta ancora oggi, dall'aldilà, storie dell'al di qua. E' una ragazza nata in cielo il 13 giugno 2012. Romana di 28 anni, sposata con Enrico Petrillo. Una coppia normalissima della generazione Wojtyla, cresciuta in parrocchia. Due gravidanze, due piccoli portati in grembo e subito riaccompagnati nelle braccia di Dio.

Una terza gravidanza portava avanti con la stessa audacia, solo che ad ammalarsi è lei. Di tumore. Rimanda le cure e mette al mondo Francesco. La gioia di mamma e di papà dopo tutti i patimenti. Le cure, la lotta contro il male, poi il dolore della malattia che si fa sempre più aggressiva. Il suo affidamento a Dio e quel vivere compiendo i "piccoli passi possibili", altrimenti sarebbe stato difficile stringere il suo bambino e pensare che sarebbe volata in cielo dagli altri due figli.

Una storia che commuove ancora oggi. Le sue parole risuonano. La sua testimonianza travolge chi la incontra mentre percorre qualsiasi sentiero dell'esistenza. "Siamo nati e non moriremo mai più". Chi riesce ad associare un'altra grande donna, Mimma Panaccione, alla sola morte? Il pensiero non ce la fa, nonostante l'evidenza di non ritrovarsela più davanti, con quella voce che anticipava di gran lunga il suo apparire.

Una donna, una giornalista, una blogger. Una guerriera. Ah no, "guerriera" non voleva essere chiamata perché faceva "solo" quello a cui ogni creatura è chiamata: rendere gloria alla vita. Fino all'ultimo respiro. Una missione compiuta. Altrimenti le sue opere sarebbero state sepolte con lei. E invece contagiano ancora. Come era tremendamente contagiosa lei. E camminano ancora. Come camminava lei lungo l'intera Penisola. Mai stanca. Neppure durante le lunghe sedute di chemio.

Mai stanca di testa. Mai disperatamente in conflitto con chi la carta della vita l'ha data a lei e al resto del popolo che abita la terra. Piuttosto cercava alleati in Cielo per compiere buone opere in terra. E dare speranza. Da sola non poteva raggiungere tutti. Non poteva dire ad altre malate come lei che le metastasi potevano diventare la base di partenza di una strada che poteva e doveva sfociare in un maggiore grado di consapevolezza, di compagnia, di benessere per sé e per le famiglie, di relazione tra medici, di protocolli e di ricerche da mettere in connessione.

"Noi ci siamo", l'associazione sulle malate metastatiche al IV stadio è stata la sua ultima creatura. Le altre donne che l'hanno seguita? Molte le ha conosciute in quelle sale grigie dove si sentiva odore di sconfitta, dove gli infermieri gettavano scialuppe di incoraggiamento in un mare di paure e dove il tempo scorreva lento. Lì dentro ha reso gloria alla vita. Ha detto "presente" a se stessa e ha messo nel suo bagaglio solo il sorriso e quella spiccata ironia che ti faceva riflettere anche a ore di distanza.

Così ha potuto scrivere pagine memorabili sul blog di Repubblica e nella sua vita, consumatasi in un "travaglio" continuo. Ma non lo lasciava mai emergere. A Cassino, a Roma, a Milano, a Torino andava ad incontrare la vita anche quando entrava negli ospedali. Di continuo. E aveva un dono: sapeva essere felice. Così a ognuno ha consegnato un pezzo di vita. Non di sofferenza.

E quando arrivarono quelle due ultime metastasi al cervello, la mente umana non voleva crederci. Ancora? Ancora? Ancora? E lei sbalordì tutti scrivendo "Io confesso": "Confesso che sono una privilegiata nella mia condizione perché sono stata e sono sempre molto amata: da mio marito, dai miei genitori, dalla mia famiglia, dai miei amici, dal mio super canetto Odino e da tutti i compagni incontrati lungo il cammino.

E magari anche da qualcuno di voi. Confesso che se vedete del buono in me lo vedete come riflesso del bene e dell'amore che ricevo. Confesso di non aver merito di niente, di essere rimasta solo a cercare di imparare dal prossimo. Confesso che non sono disperata, che la speranza abita tenacemente in me e spero non ne venga estirpata mai perché per me la speranza è Gesù Cristo. Spes contra spem.

Confesso che il dono della fede è un ottimo sostegno, ma vi ricordo che dare senso al dolore non toglie però forza alla sofferenza. Confesso che sono preda di una fame nervosa che mi sta facendo diventare cioccolato-dipendente e confesso che poi darò la colpa al cortisone di avermi "gonfiata". Confesso che sarò terrorizzata in sala operatoria. Confesso che spero di tornare presto tra di voi, magari senza aver perso il mio pesciolino rosso. Confesso che mi mancherete. Confesso che spero che porterete sempre e comunque avanti la battaglia per la causa dei metastatici e che lo farete con orgoglio, senza vergogna o paura. Confesso che a questa causa ci tengo da morire! Confesso che sono folle, folle di voi, dell'amore, della vita. Confesso che sono felice nonostante tutto. Confesso che qualunque cosa mi accadrà sarei molto delusa se il dolore per me nei miei cari superasse la gioia dell'esserci voluti bene. Sarebbe vanificare ogni mia sofferenza, sarebbe come se non ci fossi mai stata".

Quando venne letto ai suoi funerali sembrava di sentirla. "Io confesso" lo ha gridato al mondo. E' un inno alla vita, un inno all'amore, un inno alla speranza. Un "miracolo" che cammina e converte anche oggi. La causa dei metastatici va avanti grazie a persone straordinarie che non si arrendono, che non hanno lasciato che quel seme restasse in una terra incolta.

Lo psiconcologo è solo l'ultima conquista. Inizia a fare capolino nella realtà delle metastatiche perché lei ne aveva desiderio. Ne capiva l'importanza. Ne percepiva l'utilità. E se le opere di "Noi ci siamo" continuano, vuol dire una sola cosa, che anche lei c'è. "Noi ci siamo. Mimma c'è". Un miracolo di vita piuttosto che un'assenza. Perché "siamo nati e non moriremo mai più".