Un'opera gigantesca a forma di vulva accende un dibattito culturale in Brasile. L'opera si chiama Diva ed è esposta nel parco di arte rurale dello stato di Pernambuco, nel nordest del Paese. Quest'opera ha creato una fortissima polemica in Brasile e non solo, si è spostata su tutti i social network da quando è nata.

La maternità dell'opera è di Juliana Notari, la quale ha deciso di realizzare la vagina come una ferita, mettendo in discussione attraverso di essa il rapporto tra natura e cultura in una società "fallocentrica e antropocentrica". Come la stessa artista ha dichiarato alla CNN, la scultura è stata una sfida e nasconde un ampio e profondo significato di protesta:

"È una delle ferite più grandi che ho creato. Questa ferita è, tuttavia, infinitamente minore rispetto ai traumi della schiavitù, del lavoro senza tutele, dell'ecocidio e dei traumi violenti che si sono verificati in questa centrale elettrica, come in altre proprietà coloniali private". La scultura ha dimensioni gigantesche è di circa 33 metri, e l'accesa polemica nasce della fazione politica più conservatrice del Paese e dello stesso presidente Bolsonaro. Lo scrittore e filosofo Olavo de Carvalho, considerato da molti il guru politico del presidente, ha infatti criticato su Twitter il lavoro artistico di Notari, proponendo di contrastarlo con una scultura di un pene gigante. Inoltre, dalla destra, l'opera è stata accusata di essere "transfobica", e persino "razzista", dato, a quanto pare, è stata una squadra composta da 20 uomini di colore ad aver aiutato a costruire l'opera sul sito scelto dall'artista brasiliana.

A ogni modo, la comunità artistica e i movimenti delle donne in tutto il mondo stanno sostenendo la controversa opera, perché nessuno si aspettava che una scultura locale generasse un'ondata di odio sui social network. Kleber Mendonça Filho, un regista residente nella regione in cui si trova l'opera, non ha esitato a elogiarla affermando che "le reazioni al tuo lavoro sono uno specchio [della società], un [segnale di] successo".

Ed effettivamente, in un certo senso, è molto curioso che nel 2021 ci siano ancora persone che si sentono così minacciate o a disagio alla vista non solo di una vera vulva, ma anche di una rappresentazione puramente artistica e abbellita di un genitale femminile, e che ritengono sia "osceno" che questa faccia parte del patrimonio culturale di una regione, quando abbiamo degli obelischi – i quali, lo ricordiamo, non sono altro che l'epitome del culto del fallo di Osiride – che presiedono ai centri nevralgici di tutte le capitali mondiali.

Proprio a causa di questa reazione critica sproporzionata, opere come Diva sono ancora necessarie e continuano a ricordarci che, nonostante i progressi compiuti per i diritti e le libertà delle donne, la società occidentale continua a essere fondamentalmente patriarcale, e che questo rifiuto totale di normalizzare e convertire in simbolo attributi strettamente femminili rimane un'aperta dimostrazione di discriminazione contro le donne. Per dirla con le parole della stessa artista:

Diva è una possibilità (di cambiamento) perché passa attraverso il patriarcato strutturale del Brasile, che è continuamente rafforzato dall'incitamento all'odio di estrema destra di Jair Bolsonaro.