Negli anni Trenta dovevano essere i moderni anfiteatri, veri e propri monumenti della nuova epoca, centri di vitalità, scuole, palestre da cui far scaturire una falange di atleti destinati ai trionfi sportivi, ma anche di forti soldati temprati a tutte le battaglie della vita nazionale. Con questa spinta propulsiva il regime fascista aveva avviato una massiccia campagna di costruzione di impianti sportivi, per così dire polivalenti, che formassero la gioventù italiana in quell'ottica di esaltazione della stirpe nazionale e di costante anelito e ardimento nella sempiterna ricerca di superamento dei limiti. Vennero diramate circolari con le indicazioni specifiche per la realizzazione degli impianti e i prefetti e le amministrazioni comunali furono coinvolti in prima persona.
Anche Frosinone, che fino all'inizio degli anni Trenta, aveva avuto una sorta di area polivalente nei pressi dell'odierno incrocio di Brunella (il celeberrimo campo Caggiano o Cagiano), sull'allora via Casilina, e a via Valle Fioretta, che servivano da campo di calcio, arena per esibizioni di ginnastica ed altro, cominciò ad attrezzarsi. Anche perché il movimento calcistico nazionale andava crescendo e quello locale andava consolidandosi, dopo i balbettii dei primi anni, con una squadra che di lì a breve sarebbe approdata nella terza serie nazionale. L'architetto Del Debbio, in una sua elaborazione del piano regolatore di Frosinone, tuttavia mai adottata, aveva previsto un nuovo impianto di sportivo, che rimase, però, sulla carta.
Il 1° settembre 1932, il podestà di Frosinone Bracaglia, assistito dal segretario capo Francesco Zallocco, emanò la deliberazione numero 193 nella cui narrativa veniva specificato che «quest'amministrazione comunale ha riconosciuto la necessità e l'urgenza di provvedere la città di un campo polisportivo in tutto rispondente allo scopo. Esso potrà assai giovare anche l'intera provincia specialmente in occasione di gare, adunate sportive, patriottiche, politiche ed altro. A quest'effetto è stata prescelta la località in contrada Pareti tra la provinciale Marittima ed il fiume Cosa e precisamente nelle adiacenze dell'imbocco della nuova strada in costruzione (viale Principe di Piemonte) con la predetta provinciale Marittima. L'area è pianeggiante ed è quasi equidistante da quattro importanti centri e cioè: dalla città, dallo scalo ferroviario, dalla fermata (Polledrara) delle Ferrovie Vicinali e dall'Osteria De Matthaeis.
Mentre l'ufficio tecnico comunale attende alla compilazione del progetto relativo, che pure rispondendo alle moderne esigenze dello sport, sia di facile e poco costosa attuazione, è d'uopo procedere all'immediato acquisto delle zone di terreno necessarie per la costruzione del campo, determinate dall'ufficio tecnico comunale, il quale ha fissato in lira una al mq il prezzo base di acquisto. In tal modo gli sportivi della città avranno subito l'area in cui poter liberamente compiere le loro esercitazioni. Al pagamento delle aree ed alle spese per gli atti di acquisto sarà provveduto mediante l'alienazione al prezzo corrente di borsa dei titoli di Stato che il Comune possiede, mentre per la eventuale differenza sarà provveduto con i fondi ordinari di bilancio».
Il Comune procedette all'esproprio di 3,9 ettari di terreni, in una zona, allora, quasi di periferia, appartenenti a cinque privati (Fausta Patrizi, Maria Turriziani, Loreto Fabrizi, Leopoldo Turriziani, Camillo Minotti) per una spesa totale di 57.070 lire, corrispondenti oggi a circa 60.000 euro. Il campo sportivo originario, venne costruito per la cifra complessiva di 1.350.000 lire (più o meno circa 1.400.000 euro di oggi con tutte le rivalutazioni).
Lo stadio "Comunale" (che negli anni ha assunto le denominazioni di "Città di Frosinone", di "Bellator Frusino" prima di arrivare all'ultima) venne realizzato sul finire del 1932 su progetto dell'ingegner Edgardo Vivoli, capo dell'ufficio tecnico comunale: l'impianto primitivo era del tutto privo di spalti e recintato da una semplice staccionata. La zona in cui sorse era all'epoca periferica e scarsamente antropizzata: nel corso degli anni l'espansione urbanistica di Frosinone finì per "fagocitare" l'impianto, circondandolo di palazzine ad uso residenziale. Sul finire degli anni Trenta venne costruito il primo nucleo di tribuna, che poi fu coperta. La tribuna centrale, come oggi la conosciamo, venne realizzata nell'immediato secondo dopoguerra su ispirazione dell'allora stadio "Berta", oggi "Artemio Franchi" di Firenze.
Nel progetto originario, licenziato dalla Regia Prefettura e dal Genio Civile, era previsto anche un campo di pallacanestro, uno da tennis e un parco auto (come veniva definito all'epoca il parcheggio) nella lunetta del lato nord dell'impianto, più o meno corrispondente alla zona dell'attuale curva nord, anche se in prima battuta il campo sportivo si trovava in posizione diversa da quella attuale, in quanto insisteva negli spazi dove ancora oggi sorgono le palazzine che affacciano su via Superga e su via Marittima. Nella lunetta sud avevano trovato posto le aree per i lanci e per i salti.
L'impianto aveva, poi, un accesso principale, di carattere monumentale, con ossatura di pilastri in stile novecentesco fregiato con il fascio littorio e con il blasone comunale con il leone rampante. Un complesso sportivo che, per i tempi, rappresentava un bel fiore all'occhiello e che diede una spinta propulsiva importante allo sviluppo dei movimenti cittadini.
Poi, nei decenni, sono arrivati gli ampliamenti: subito dopo la seconda guerra mondiale è stata costruita la tribuna centrale in cemento armato con copertura a conchiglia, esempio raro in Italia. Progressivamente sono stati realizzati gli altri settori. Il nomignolo "Matusa" risale agli anni Settanta, allorquando il giornalista Luciano Renna, in un articolo sul Messaggero, definì l'impianto "Matusa" per la vetustà delle sue strutture e per l'inadeguatezza a sostenere le ambizioni del club giallazzurro che, approdato in Serie C, aveva velleità di entrare nell'élite del calcio nazionale.
Oggi, con lo stadio "Città di Frosinone - Benito Stirpe", il "Comunale" è andato in pensione, dopo aver visto i più grandi trionfi del calcio frusinate, ed è diventato un parco pubblico, mantenendo i tratti caratteristici per una adeguata e corretta conservazione della memoria dei luoghi.