Il desiderio di diventare madre Eleonora ce l'ha sempre avuto. La famiglia nella quale è nata - in un centro del Cassinate - è una di quelle famiglie grandi dove zie e cugini sono come mamme e fratelli, dove ogni domenica diventa una festa e la nonna ha sempre dettato regole e orari.
La sua è stata una vita bella, semplice, dove lo studio e le ambizioni hanno sempre lasciato il posto al sogno di avere una casetta, un giardinetto, un marito e tanti figli. A sedici anni è già fidanzata e a 23 sposa quello che sarebbe diventato l'uomo più odiato della sua vita. Inizia fin da subito a cercare di avere figli, il marito lavora e cerca di portare a casa quanti più soldi possibili trovando anche lavoretti alternativi.
I sogni di Eleonora sono belli ma i tempi non sono più gli stessi del passato e la casetta con il giardinetto tanto immaginata rimane in realtà lo scheletro di una costruzione con sole due stanze e il bagno rifiniti. Allora il marito le chiede di aspettare e di trovare un lavoro: "Che casa possiamo offrire a un figlio? Sistemiamoci un po' meglio". Eleonora non ascolta, resta incinta due volte ma in entrambi i casi ha aborti spontanei.
Poi, nel 2009 la conferma: è incinta, le preghiere, le speranze e dopo i primi quattro mesi è tutto un viaggio in discesa. Nel 2010 nasce suo figlio, lei è al settimo cielo e anche il marito, tutto sembra andare per il verso giusto. Antonio è un bimbo amato, pacioccone e grande patito di pappine. Ha camminato più o meno nel periodo in cui ci si aspetta che questo accada, ha smesso di utilizzare il ciuccio e poi di prendere il latte materno, ha iniziato a mangiare da solo.
Poi sono iniziate le difficoltà, lo sguardo rivolto verso il vuoto, la difficoltà di interagire con i suoi coetanei. La pediatra consiglia delle visite specialistiche e i medici diagnosticano una forma di autismo al piccolo. Il mondo di Eleonora crolla, la paura del futuro e il matrimonio che, in pochi mesi, va in frantumi. Il marito non ci sta, non è pronto, non si sente in grado e non accetta questa diagnosi.
Decide di andare via e di non voltarsi più, lascia il paese, lascia la casa – le due stanze e il bagno nello scheletro della villetta dei sogni irrealizzabili – e parte. Eleonora è sola, i suoi sogni non esistono più, si sente impotente. A tre anni e mezzo Antonio è un bambino le cui difficoltà si percepiscono e constatano con facilità: i suoi coetanei parlano, hanno tolto il pannolino, lui no, vive nel suo mondo. Iniziano così i viaggi e le ore trascorse con specialisti, con logopedisti, psicoterapeuti. Eleonora lascia le due stanze e torna a casa dai genitori. Mette in vendita la sua casa e inizia a studiare per capire come interagire con il figlio. Il marito, intanto, chiede il divorzio e l'unico rapporto con quel figlio mai voluto e mai accettato diventa un assegno.
"Il mio dolore non scaturiva da quello che ci stava accadendo, ma soprattutto nella discrepanza tra la nostra quotidianità e il modo in cui io me l'ero immaginata. Avevo immaginato di dover scegliere la scuola come le altre mamme, che danno uno sguardo alla classe, sono accompagnate dai loro bimbi che già interagiscono con i nuovi compagni e future maestre. Io devo capire sempre se chi ho di fronte è in grado di capire le nostre esigenze e quelle di mio figlio.
Volevo essere solo una mamma ma non posso, Antonio ha bisogno di più di questo. Ha solo me e io ho solo lui. La vita mi ha già insegnato che gioia e paura possono pure andare a braccetto, ma c'è tanto da fare, tante barriere e ostacoli da superare. Oggi che Antonio dovrebbe pensare alle medie, dovrebbe aspettare con ansia le feste di compleanno degli amici è invece un bimbo solo, che preferisce vedere cartoni animati adatti a un bambino molto più piccolo della sua età, che ha paura di persone che non conosce e che non mangia se non ha il suo piatto, le sue posate e il suo bicchiere.
Mi chiedo che futuro sarà il suo, chi potrà amarlo, chi vorrà essere suo amico. Come ogni madre temo che possa accadergli qualcosa, ma ho un'amara certezza: che la sua solitudine potrebbe significare il suo completo isolamento dal mondo. Continuo a lavorare per lui, per escogitare modi per comunicare con mio figlio e per permettergli di aprire una porta sul mondo. La strada è ancora lunga. E quando passo davanti a quella casa che era mia, che non è più uno scheletro ma è finita e nella quale vive una famiglia con tre figli mi viene da sorridere, i miei sogni ora sono altri. E gioisco nel vedere mio figlio emozionarsi vedendo un cagnolino o cantare davanti alla tv".