Irene (useremo un nome di fantasia) è una sopravvissuta. Lei e suo figlio sono finiti in un inferno e sono riusciti a uscirne solo grazie a "uno schiaffo in più". Sì, perché è stato proprio quello schiaffo in più a farla esplodere e a riportarla alla realtà. Quel matrimonio non andava più bene, quella casa non era più luogo di amore e sicurezza, quell'uomo non era più quello che aveva amato e sposato... forse niente di tutto questo era mai esistito.

Irene ricorda il corteggiamento, lui era un bravo ragazzo a cui piaceva uscire, era un po' geloso ma a volte è anche una lusinga essere così tanto "protetta". Non c'erano tutte queste conversazioni sui cellulari e si faceva tutto insieme. A parte qualche litigata sulla gonna troppo corta o qualche saluto troppo "affettuoso" agli amici d'università, tutto sembrava bellissimo e normale.

Poi la fatidica domanda, un sogno che si avvera e tanta emozione per i preparativi del matrimonio, la scelta dei testimoni (imposta da lui), ma che importa, lo fa perché vuole che siano i "suoi" amici, poi il veto della madre al vestito che aveva scelto e che le stava così bene, ma la scollatura sulla schiena non era adatta, non era "decorosa" per una donna che sta per prendere marito, anche se c'era quel bel fiocco di raso che le cingeva le scapole.

Ma lui la ama, la vuole bella, come una Madonna, così anche per il vestito accetta quello con il colletto alla coreana e le maniche ricamate. Niente importava che al banchetto di nozze per aver bevuto tre bicchieri di champagne le abbia detto che era una zoccoletta in cerca della sbornia, scherzava, eravamo tutti alticci. Niente importa più in quelle giornate afose in cui quell'uomo la prendeva per quelle scapole che aveva protetto da occhi indiscreti, sbattendola al muro e poi sul letto per abusare di lei: "Sei mia moglie e devi fare quello che fanno le mogli. E' da sempre che le cose funzionano così, e pure bene".

Irene chiudeva gli occhi e ripensava al corteggiamento, ai peluches a San Valentino, al suo abito bianco. Tutto intorno era buio. Il suo dolore restava tra quelle quattro mura, i suoi genitori la osservavano e non capivano, ma qualche dubbio era sorto alla madre. Troppo impostata quella giovane coppia per essere reale e troppe volte la figlia, che da sempre si era mostrata socievole e ben disposta alle riunioni familiari, preferiva restare a casa o andare dalla suocera.

Poi quella laurea in Giurisprudenza rimasta lì, senza un futuro, dopo tutti i sacrifici era ancora più incomprensibile. Irene aveva una risposta per tutto e sotto "l'amorevole" sguardo del suo uomo sorvolava, aveva cose ben più importanti a cui pensare. Poi la gravidanza, i lividi sulle braccia e sulle gambe perché "con questa pancia vado a sbattere dappertutto", viene alla luce un bel maschietto.

Irene si ripete "Adesso cambierà tutto. Voleva un figlio, voleva essere una famiglia. Lui che non ha mai avuto un padre, ora troverà il suo posto nel mondo". E i primi mesi trascorrono davvero felicemente. Perché lei sta a casa, perché le visite sono tante e costanti e perché è troppo bella "da mostrare". Poi però l'asilo, il bimbo da accompagnare e gli altri genitori, anche papà, che si fermano a parlare con Irene.

Ricominciano le finestre sbarrate anche nelle giornate di sole, le porte chiuse, i silenzi e lo sguardo al soffitto. Irene stringe i denti, passerà anche questa volta. Pensa al giorno del parto, allo sguardo di suo figlio. Un giorno poi accade l'irreparabile. E' seduta in cucina a fare la lista della spesa, lui arriva e le chiede senza mezzi termini un rapporto sessuale, ma non è il momento adatto, il piccolo sta per svegliarsi e deve fare merenda, lui non ci pensa e le tira uno schiaffo, uno schiaffo in più.

Irene volge lo sguardo e incontra quello di suo figlio, fermo con il suo pigiamino sull'uscio della cucina. Il piccolo non piange, osserva la scena indifferente. Quell'indifferenza le fa capire che l'inferno è diventato la normalità anche per suo figlio. Non ci pensa due volte. Veste suo figlio ed esce con la scusa di andare a fare la spesa, va dritta in Commissariato e chiede aiuto.

Mentre racconta la sua vita familiare si rende conto della sua cecità. Trova delle persone competenti, degli occhi luminosi, come una luce in fondo a un tunnel, intravede una via d'uscita. Irene in quella casa non fa più ritorno, sarà sua madre a prendere qualche effetto personale.

Trascorre mesi in una struttura protetta e inizia il processo contro quell'uomo. Ora Irene è tornata alla sua vita, suo figlio sta crescendo felice, ama gli animali. Frequenta assiduamente la casa dei genitori e lavora come assistente in uno studio legale. Il bambino vede il padre che ha trovato un'altra vittima da "amare". La vita è luminosa, ma il buio è sempre dietro le spalle. Irene è viva per "uno schiaffo in più".