Il calcio, come poche altre umane attività, si lega e si intreccia al territorio e alle comunità in cui esso si innesta e ne diventa presto cassa di risonanza privile giata. Soprattutto in provincia in esso confluiscono storia, cultura e finanche società della città e del paese di riferimento perché allo stadio si va per inneggiare ai colori del proprio campanile creando una sinergia tra sport e territorio intima e potente. Ogni paese ha avuto una squadra e ogni squadra ha avuto un momento glorioso, uno di quelli che è giusto ed è bello tramandare, come moderni aedi, di generazione in generazione. Ma se si parla di calcio importante prima della favola contemporanea del Frosinone di Stirpe il football era stato davvero avaro di soddisfazioni per la nostra provincia. Il livello medio per le squadre e le società migliori era quello che si posizionava in quella sorta di limbo costituita dal campionato che nel corso degli anni ha assunto il nome di Quarta Serie, di Interregionale, di Serie D. Una terra spartiacque abitata da società magari con ambizioni sovraprovinciali ma non strutturate abbastanza per il professionismo. Fino agli anni 80 le comparse delle squadre ciociare in tornei professionistici sono state poche e caratterizzate da una occasionalità di fondo abbastanza evidente. Le cose sono mutate proprio in quel decennio quando il Frosinone salì in pianta stabile in C, ma il momento più alto fu quello che caratterizzò il decennio successivo.

Gli ultimi dieci anni del secolo breve hanno visto svettare sul calcio ciociaro i vessilli bianconeri del Sora. Una squadra capace di lambire il sogno, allora proibito, della serie B ma soprattutto di accendere i riflettori su un territorio e su una città che fecero del calcio il proprio strumento di rivincita. L'epopea di quel Sora è scandita da varie tappe importanti ma crediamo di non fare torto a nessuno se scegliamo il 31 maggio 1992. Quel giorno si giocò la gara di ritorno dello spareggio per la serie C2 tra ilSora ed il Sulmona. Sulla panchina di quella squadra c'era colui che è stato l'emblema di quel ruggente periodo bianconero. L'allenatore di un Sora bello e moderno che praticava un calcio avanti con i tempi ma in linea con il profilo dell'uomo. Un uomo che ha incarnata in pieno il concetto di soranità, che di nome fa Claudio e di cognome fa Di Pucchio e che oggi ci guida nel racconto di quegli anni e di quello spareggio con il Sulmona al ‘Matusa' di Frosinone.

Come nacque il suo Sora?
«Nacque quando il presidente Fiorini prese in mano la società con l'intento di portarla fuori dagli anni più bui del calcio in paese. I primi anni 80 furono per il Sora una sorta di medioevo calcistico. A Fiorini mi legava un rapportodi fraterna amicizia nata sul finire del decennio precedente e non rimasi insensibile alla sua chiamata. Il primo anno collaborai a distanza perchè allenavo il Formia ma quando la squadra salì in Promozione capii che il momento di tornare a casa».

Fu quello il momento nel quale furono gettate le basi tecniche della squadra.
«Non solo tecniche ma anche societarie perchè Fiorini era un grande presidente ma doveva fare i conti con le possibilità di un sodalizio che non poteva fare il passo più lungo della gamba. In quegli anni fui chiamato ad allestire squadre che fossero funzionali al mio modo di intendere il calcio ma che fossero anche sostenibili economicamente. La maggiorparte dei calciatori che presi arrivarono a parametro zero. Nacque quindi una squadra capace di creareun vincolo fortissimo con una città che aveva bisogno di fare sentire la propria voce e riscattarsi di una subalternità sempre più accentuata negli anni».

A cosa si riferisce?
«Mi riferisco alla voglia di riscatto di una città abituata ad essere centro e divenuta periferia. Una città che era prefettura della vecchia provincia di Caserta e poi ritrovatasi municipio tra i tanti della provincia di Frosinone. C'era bisogno di qualcosa che desse corpo a quell'orgoglio sopito. E il calcio arrivò a proposito».

Dopo la vittoria nel campionato di Promozione ed un paio di buone stagioni in Interregionale arriva l'anno della svolta.
«La stagione 1991-92. Avemmo subito la sensazione che si poteva ambire al primatoperchè quel Sora giocava davvero bene con schemi ed automatismi consolidati. Vincemmo contre giornatedi anticipo con la miglior difesa nazionale di categoria (solo 13 gol subiti e solo 1 in casa) e il maggior numero di vittorie (22). Quindi iniziammo a preparare lo spareggio promozione con il Sulmona».

Una sfida in 180' iniziata con lo 0-0 di Pescara e proseguita quel 31 maggio ‘92 a Frosinone.
«C'erano 8000 sorani quel giorno allo stadio. Il primo tempo andò in archivio senza reti ma con due legni colpiti. Iniziò a sorgere un po' di tensione e capii che bisognava mischiare le carte in tavola. Nell'intervallo abbassai Bencivenga sulla corsia di sinistra. La mossa funzionò perchè aprì spazi a D'Ambra e Luiso che non a caso segnarono i due gol della vittoria».

E poi fu la festa per tutta la città e l'inizio di un ciclo tra i professionisti.
«Ci accolse l'intero paese felice ed orgoglioso per un successo che era anche un successo sociale. Un orgoglio che si è conservato negli anni successivi quando quel Sora arrivò in C1 praticando sempre un calcio propositivo e bello da vedere. Anni che videro tutta la città, e non solo il presidente Fiorini, stringersi intorno alla squadra per sostenerla e portarla in alto.
Perchè la squadra era la città e viceversa»