Nonostante la nostra epoca risulti palesemente condizionata e dominata dalla scienza e dalla tecnologia, e buona parte delle competenze lavorative richieste dal mercato del lavoro siano di carattere "pratico" e scientifico, negli ultimi anni si sta sempre più diffondendo la tendenza dei datori di lavoro (e soprattutto delle aziende più grandi ed importanti) di ritenere particolarmente utile, al momento della scelta di personale qualificato in ambito dirigenziale, una preparazione e formazione di tipo letterario-filosofico. Studi specifici effettuati in tal senso hanno infatti appurato che coloro i quali hanno frequentato corsi di studio di quello specifico indirizzo, riescono ad affrontare meglio di altri le problematiche lavorative quotidiane.

Se di primo acchito questa cosa potrà sembrare strana ai più, basterà tuttavia ricordare che ad esempio Sergio Marchionne, l'ex amministratore delegato della Fca, prima di conseguire la laurea in giurisprudenza, lo aveva già fatto, in filosofia, all'Università di Toronto. È stato appena pubblicato dalla casa editrice "Il Mulino", a firma di Giuseppe Cambiano, il libro "Sette ragioni per amare la filosofia" (214 pagine). Il breve volume è «un invito a fare l'esperienza della lettura di testi filosofici, e ad acquisire qualche conoscenza della storia della filosofia». Disciplina mentale che, secondo Bertrand Russell, «desta la nostra meraviglia e sa suggerire molte possibilità che allargano l'orizzonte dei nostri pensieri, liberandoli dalla tirannia della consuetudine».

L'autore del saggio del quale parliamo oggi ha individuato ben sette ragioni per amarla. Ragioni che dovrebbero indurre chiunque ad abbandonare un diffuso scetticismo verso una materia che molti trovano ostica, la maggioranza ritiene astrusa, e quasi tutti –ahimè –considerano esageratamente astratta. Cambiano evidenzia il fatto che, invece, la filosofia è straordinariamente utile; in primo luogo in quanto aiuta le persone a porsi delle domande. Da quelle meno rilevanti –che magari hanno lo scopo di ottenere semplici "informazioni su persone, cose, luoghi, avvenimenti"–a quelle invece ben più importanti, che di solito presentano delicate implicazioni religiose, morali, e politiche.

Egli sostiene infatti che «il domandarsi il perché delle cose» sia da considerare come un vero e proprio privilegio, che «la rinuncia alle domande è, in qualche modo, una rinuncia alla vita», e che «si può tentare per molto tempo di sfuggire a qualsiasi domanda, ma rimane sempre aperta la possibilità di situazioni che costringano a porle». Tali argute considerazioni si intersecano inevitabilmente con il significato stesso della parola di origine greca "filosofia", che infatti significa "amore del sapere". Ogni sapere presuppone, se ci si pensa, l'essersi posti preventivamente delle domande. E magari aver anche trovato, ad esse, delle convincenti risposte. È vero che non tutte le domande che ciascuno di noi si pone, o pone agli altri, siano veramente utili.

Ma è pur vero che, quasi sempre, gli "esercizi speculativi" rappresentano e costituiscono le fondamenta indispensabili di qualsiasi progresso umano. Anche quello di carattere meramente scientifico. Il saggio dello scrittore torinese induce pertanto a numerose, fruttuose riflessioni. Stimolando ad esempio il lettore a comprendere in che modo i dubbi quotidiani possano arrivare a diventare delle certezze; a conoscere gli strumenti attraverso i quali si possano utilizzare al meglio le parole nella quotidianità, ma anche ad imparare l'utilità ed il valore del "dissenso"nel processo di formazione di un convincimento ideologico; e – se del caso – a determinarne una sua possibile rivisitazione. Perché, evidenzia Cambiano, qualsiasi «dialogo è un percorso collettivo per indagare e, se possibile, arrivare alla verità…», il quale deve aiutare, se necessario, anche «...ad abbandonare credenze ingiustificate».

Questa considerazione vale sempre, ma a maggior ragione quando il dialogo tra soggetti si riferisce a questioni importanti.
Ed infatti «una tesi o dottrina filosofica è generalmente l'esito di un ragionamento che parte da premesse. Una pretesa di verità, nel momento in cui è messa per iscritto, è, al tempo stesso, una richiesta di condivisione da parte degli eventuali lettori. Questi però possono o semplicemente accettare o rifiutare questa tesi o dottrina senza esaminarla, oppure accogliere la sfida ed esaminare se il ragionamento fatto funzioni e, soprattutto, se le premesse da cui esso parte siano accettabili o meno... Se si lega la filosofia alla pretesa di essere in possesso di una verità totale e assoluta, allora si arriva alla condanna irrevocabile di ogni filosofia che non si conformi ad essa. I dissensi tra i filosofi possono forse immunizzare dall'illusione che sia possibile trovare una risposta definitiva a ogni questione».

La filosofia, dunque, apre la mente, spalanca i confini, aiuta a crescere. Intellettualmente, moralmente, ed anche concretamente. Pur non detenendo, ovviamente, né il monopolio delle domande, né quello delle risposte. Come però, a ben vedere, anche la scienza. Perché se è vero che quest'ultima sa (ed ha saputo in passato) sciogliere numerosi nodi del sapere umano, è pur vero che è stata la filosofia a porsi come l'unica disciplina in grado di «affrontare problemi ai quali le varie scienze non sarebbero in grado di accedere, tentando di mostrare che esistono forme di pensiero o di conoscenza superiori alla scienza stessa. Queste sono ravvisate, per esempio, nell'intuizione o conoscenza immediata di determinate verità, che avrebbero la loro sede privilegiata nell'interiorità della coscienza, e alle quali la scienza non sarebbe in grado di accedere, oppure in forme di esperienza mistica e irrazionale. In questa prospettiva, l'arte o la religione o la filosofia stessa, sono presentate come superiori alle scienze, e più rilevanti per la vita degli uomini».

Tale arguta considerazione consente pertanto di comprendere che la filosofia e le scienze non sono affatto alternative.
Semmai straordinariamente complementari. Perché «entrambe sono mosse dall'amore del sapere, entrambe nascono dall'esigenza di porre domande e tentare risposte». Perché, osiamo aggiungere noi, una scienza che scaturisce da profonde riflessioni speculative, e che offre soluzioni "moralmente"accettabili, è senz'altro migliore di una scienza "cieca", magari condizionata dal demone del solo profitto.