E' uscito da pochi giorni nei negozi, e su tutte le piattaforme digitali, "My songs", il nuovo album di Sting. Si tratta di un progetto discografico (per ora distribuito in Italia solo nella versione "deluxe" con cinque bonus track registrate live all'Olimpia di Parigi) che non contiene brani inediti, ma soltanto rivisitazioni – più meno profonde – di alcune delle hit più famose del grande musicista britannico ("Every Breath you take","Message in a bottle", "Fragile", ed "Englishman in New York", solo per citarne alcune). È lo stesso artista a spiegare le ragioni di questo suo nuovo progetto: «Questa è la mia vita, vista attraverso le mie canzoni. Alcune di loro ricostruite, altre semplicemente rivisitate, altre ancora ripensate. Tutte, però, attraverso il mio attuale punto di vista»).

Il geniale musicista di Newcastle (che confessa di essere un ottimista di natura, nonostante le atrocità che ogni giorno scuotono il mondo), ha deciso di dare un volto nuovo, soprattutto da un punto di vista ritmico e vocale, ad alcuni dei gioielli che, nel corso della sua lunghissima carriera, ha saputo scrivere. Dapprima come leader dei "Police", e poi come straordinario ed eclettico solista. Anche stavolta Gordon Matthew Sumner non delude. Perché se è vero che le versioni originali dei brani contenuti nella compilation costituiscono un paragone piuttosto ingombrante con il quale confrontarsi, è anche vero che il disco è suonato benissimo (e come potrebbe essere diversamente, viste le partecipazioni, tra gli altri, di Stevie Wonder, Brandford Marsalis, Manu Katchè, Daryl Jones, Vinnie Colaiuta e del fedele chitarrista Dominic Miller), accompagna l'ascoltatore in quarant'anni di grande e raffinata musica, e scorre via senza alcun intoppo fino all'ultima nota.

Tuttavia una delle caratteristiche più interessanti dell'album la si rinviene nelle note di copertina; nelle quali Sting spiega e svela la genesi dei brani che ha scelto per la compilation. Leggendole, infatti, veniamo ad esempio a sapere che i versi della celeberrima "Every breath you take" vennero da lui composti ad Ocho Rios, in Giamaica, nella villa chiamata "Goldeneye", dove lo scrittore Ian Fleming scrisse i romanzi della saga di James Bond. Il brano "Demolition man" (contenuto nel 33 giri "Ghost in the machine", pubblicato nel 1981 dai "Police"), venne invece composto, nell'estate del 1980, nella casa irlandese dell'attore Peter O'Toole; il primo demo della canzone fu inviato a Grace Jones, la quale lo fece poi diventare un singolo di grande successo.

Curioso anche l'aneddoto legato a "If you love somebody set them free", canzone scritta (nel 1985) in una casa del quartiere londinese di Hasmpstead che –giura Sting – era infestata dai fantasmi!: «La mia sensazione era che molta dell'energia rimasta intrappolata nell'atmosfera di quell'edificio dovesse essere finalmente liberata». I "prati d'oro" mirabilmente descritti in uno dei suoi brani più conosciuti ("Fields of gold"), sono invece quelli che circondano una delle tante ville di sua proprietà; biondi campi d'orzo che, una mattina del 1992, lui ritrovò solcati da misteriosi cerchi, eseguiti da un misterioso autore.Scrive Sting: «Chiunque fu a realizzarli era certamente un genio matematico, perché tutti gli altri simili disegni che io ho avuto occasione di vedere erano senz'altro opera di qualche ubriacone che aveva bevuto un bel po'di birre in un pub!». Ma le curiosità non finiscono qui.

Il celeberrimo riff di chitarra di "Message in a bottle", venne composto all'inizio del 1979 in un pulmino che stava percorrendo l'autostrada tra Düsseldorf e Nürenberg. «Mi ci volle un po'di tempo per trovare le giuste parole del brano, ma, dopo numerosi, vani tentativi, trovai finalmente quelle adatte a descrivere una sorta di Robinson Crusoe, che, naufragato su un'isola deserta, cerca la salvezza, lanciando una serie di SOS. Le infinite richieste di aiuto che, in risposta alla sua, arrivano sulla spiaggia, costituiscono una significativa metafora della complessità della vita; ma non bisogna dimenticare che, come tutte le più grandi storie che ha saputo narrare il rock & roll, questo brano ha preso vita da un semplice riff musicale». Anche "Walking on the moon" venne scritta in Germania, e precisamente a Monaco nel 1979, e, scrive l'ex Police, «mi venne ispirata dalla passeggiata lunare di Neil Armstrong. Tuttavia le parole del brano che avevo scelto in un primo momento suonavano come molto meno prosaiche, perché erano, infatti, "walking around the room!"». Particolarmente suggestiva è stata la genesi di uno dei più conosciuti capolavori dell'intera carriera di Sting: «Englishman in New York».

Il bassista britannico rivela che la musica della canzone gli venne ispirata dal fatto che, una notte, si era addormentato lasciando in sottofondo, in "loop", le splendide suites per violoncello di Johann Sebastian Bach. Nelle note di copertina si legge: «Quando mi svegliai, la rassicurante architettura di quelle composizioni si era fatta largo nella mia testa, creando il giusto spazio per far emergere buone idee». Ma forse la nota più interessante, tra quelle scritte da Sting nel booklet del suo ultimo album, è quella che spiega la genesi di uno dei suoi brani migliori: "If I ever lose my faith in you". «La scrissi nel 1992, in preda ad un crescente scetticismo verso l'effettiva capacità della nostra classe politica di riuscire ad affrontare l'incombente pericolo della distruzione della nostra delicata biosfera. Non non voglio certo attribuirmi il merito di essere stato il primo a mettere in guardia dai pericoli conseguenti all'uso dissennato della tecnologia, ma i dubbi sui nostri progressi scientifici, soprattutto se applicati all'uso delle armi, sono senz'altro presenti nella canzone»