La fine del secondo conflitto mondiale viene convenzionalmente datata, per l'Italia, al 25 aprile del 1945. In realtà il termine effettivo della guerra sul territorio italiano vi fu soltanto il 3 maggio successivo. E dunque esattamente 74 anni fa. Quando finalmente le armi tacquero il nostro Paese fu chiamato ad un'imponente ricostruzione. Aldo Cazzullo ha provato a descrivere e ripercorrere, in un godibile saggio intitolato "Giuro che non avrò più fame", edito da Mondadori (254 pagine), l'Italia di quegli anni postbellici difficili ed incerti, ma anche pieni di speranza e di voglia di fare. Il giornalista piemontese ricorda che «nell'Italia della Ricostruzione si cercavano pezzi di stoffa nei fondi dei magazzini; i panni verdi del biliardo diventavano cappotti; dalla seta dei paracadute americani si cucivano camicette, dalle tende blu dell'oscuramento si ricavavano pantaloni e short…i soldi non valevano più nulla, mangiati dall'inflazione.

Gran parte delle famiglie, tranne quelle che si erano arricchite con la borsa nera, erano rovinate. Stava un po' meglio chi aveva investito nelle case; ma due milioni erano andate distrutte nei bombardamenti... eravamo un popolo di contadini poveri. Si faceva il bucato al lavatoio, in piedi o nei corsi d'acqua, in ginocchio... non avevamo neppure l'orologio: la vita era scandita dalle campane... anche in città, per spostarci avevamo la bicicletta; per informarci, la radio; per parlare, il bar...
dietro lo straordinario slancio dell'Italia del dopoguerra il valore era l'individuo, al più la famiglia. Ma c'era, fortissimo, il desiderio di riscatto dalla miseria, dalla paura, dalla fame... su 12 milioni di famiglie, oltre 3 milioni mangiavano carne solo una volta alla settimana; più di 4 milioni non la mangiavano mai». 

Cazzullo ci guida quindi all'interno della memoria storica del nostro Paese, richiamando fatti e personaggi della politica, della cultura, della scienza, dell'imprenditoria, dello sport e dello spettacolo. Rammenta, ad esempio, la figura di Vittorio Valletta, presidente della Fiat, il quale pagava i suoi operai il doppio del minimo contrattuale. Ma anche quella di Adriano Olivetti, imprenditore di straordinaria intelligenza ed intuizione che coltivava il sogno di riuscire a dare all'Italia una cultura industriale moderna. Olivetti, oltre a diventare uno dei più importanti imprenditori italiani di sempre, creò, assieme al suo staff, alcuni degli «oggetti tra i più belli del Novecento», e realizzò il migliore "cervello elettronico" dell'epoca (perché «la parola computer non era ancora entrata nel lessico italiano»).

Diverse pagine del libro sono dedicate ad Enrico Mattei, controverso personaggio degli anni cinquanta il quale, dopo aver intuito che il petrolio sarebbe diventato il motore economico del XX secolo, decise di dare battaglia alle grandi aziende petrolifere mondiali (da lui stesso ribattezzate "Le Sette Sorelle"), e di "flirtare" economicamente con l'Unione Sovietica e la Cina. Nato da un'umile famiglia piemontese, Mattei riuscì a diventare una delle persone più importanti d'Italia, e probabilmente una delle più influenti del pianeta. Era «la bestia nera degli americani, l'uomo-chiave della Ricostruzione, il vero capo della politica estera italiana, fondatore di quello che è oggi il più grande gruppo industriale del Paese… Mattei ha fatto qualcosa di più che inventare l'Eni e dare all'Italia una politica dell'energia indispensabile al decollo industriale.
Mattei ha restituito agli italiani dignità nazionale, fiducia in loro stessi, consapevolezza di non essere condannati al ruolo dei vinti, ma di poter giocare la propria partita sullo scacchiere internazionale».

Tale sua intraprendenza, e tale sua spregiudicatezza (Indro Montanelli lo definì infatti «un moralista spregiudicato, un corruttore incorruttibile, un tangentaro integerrimo»), lo condurrà probabilmente alla morte, avvenuta nell'ottobre del 1962, in circostanze assai misteriose. Cazzullo racconta nel suo libro diversi gustosi e curiosi aneddoti (ad esempio che Aldo Fabrizi regalò ad Ingrid Bergman una bambola in costume ciociaro, o che «l'Italia di De Gasperi è un Paese così povero che i poliziotti non hanno scarpe: aspettano in caserma a piedi nudi che tornino i commilitoni per calzare le loro»); e riporta testualmente, nel lungo capitolo dedicato alle donne italiane dell'epoca, anche un'imbarazzante considerazione di Pier Paolo Pasolini il quale, una volta, così ebbe a scrivere: «È vero che per secoli la donna è stata tenuta esclusa dalla vita civile, dalle professioni, dalla politica. Ma al tempo stesso ha goduto tutti i privilegi che l'amore dell'uomo le dava: ha vissuto l'esperienza straordinaria di essere serva e regina, schiava e angelo. La schiavitù non è una situazione peggiore della libertà: può anzi essere meravigliosa»…

Attraverso il suo saggio il giornalista spiega al lettore in che modo l'Italia riuscì a cavarsela dopo il secondo conflitto mondiale: «La produzione industriale, che sotto i bombardamenti era crollata del 75 per cento, alla fine del 1948 era tornata la stessa di prima della guerra, e avrebbe continuato a crescere a ritmi eguagliati mezzo secolo dopo solo dalle tigri asiatiche. I cinesi eravamo noi. In pochi anni si ricostruirono le case e le città distratte. Si fece in fretta, nel disordine, a volte male. Non c'era l'attenzione di oggi all'ambiente: sorsero ciminiere in città, raffinerie accanto ai porti, acciaierie in riva al mare. Ma quel giuramento venne rispettato: gli italiani non avrebbero mai più avuto fame».

Cazzullo evidenzia poi le profonde differenze che ci sono tra l'Italia attuale e quella dell'immediato dopoguerra: all'epoca «solo il 7 per cento possedeva un telefono…avevamo 16 milioni di mine inesplose nei campi. Oggi abbiamo in tasca 65 milioni di telefonini...solo un italiano su 50 possedeva un'automobile. Oggi sono 37 milioni…eppure eravamo più felici allora di adesso. Al mattino ci si diceva: "Speriamo che oggi succeda qualcosa". Ora ci si dice: "Speriamo che oggi non succeda nulla"; ma trova anche delle similitudini tra le due epoche: "Ogni generazione ha la sua guerra da combattere, la sua crisi da superare". Allora si combatteva "per non avere più fame, per ricostruire le macerie materiali e morali di un Paese bombardato e invaso. Quella di oggi sarà la guerra contro la rassegnazione. Per ricostruire la fiducia in noi stessi e nell'avvenire».