Il "fantasy" è un genere letterario che ha radici molto antiche, che affondano nelle tradizioni popolari, nel mito, nell'epica, e nelle leggende (si pensi infatti all'Iliade e all'Odissea di Omero, all'Eneide di Virgilio, alle sensuali narrazioni de "Le mille e una notte", ai racconti del famoso "ciclo di Re Artù", e anche al "Don Chisciotte" di Miguel Cervantes). Le affascinanti storie che lo identificano sono caratterizzate da elementi allegorici e fiabeschi di grande efficacia evocativa. Esso si è sviluppato tra il XVIII ed il XX secolo, soprattutto nel nord Europa, portando alla pubblicazione di opere molto importanti per la letteratura mondiale, come ad esempio "I viaggi di Gulliver" di Jonathan Swift, "Alice nel paese delle meraviglie" di Lewis Carroll e, più recentemente, tra i tanti altri, i celeberrimi "Il signore degli anelli" di John R.R. Tolkien e "Le cronache di Narnia" di C.S. Lewis.

Le opere di genere "fantasy" hanno di solito una struttura narrativa estremamente articolata e complessa, e sono molto difficili da scrivere, perché l'autore deve saper coniugare (e governare) la sua creatività con una chiara visione di insieme della storia che intende raccontare. Si è cimentato in questa difficile impresa, con convincenti risultati, l'avvocato cassinate Giancarlo Corsetti, il quale ha da poco pubblicato per la "Giovane Holden Edizioni" il suo romanzo d'esordio, intitolato "I segni nascosti" (178 pagine). Ed infatti il libro non delude affatto gli appassionati del genere, catapultando il lettore, sin dalla prima pagina, «in un mondo immaginario di matrice nordica» animato da re, guerrieri e cavalieri, che vivono a stretto contatto con draghi, dei, serpenti, orchi e lupi. I destini dei numerosi personaggi che animano la trama si intersecano continuamente, dando corpo ad una narrazione che si sofferma sovente sull'intimità degli stessi.

Quello del re Gösta, ad esempio, con i suoi laceranti dubbi esistenziali («In quel luogo, a quel tempo, non conosceva ancora il dolore, non concepiva la disillusione»), finisce infatti per intrecciarsi con quello di Martin, coraggioso soldato che vaga nell'Altopiano alla ricerca della giovane figlia Eli («Con un forte senso di angoscia, a volte, si faceva strada in lui la conclusione che non sarebbe mai riuscito a trovarla. Ricordava commosso la purezza e la dolcezza dei suoi occhi, la vista ravvicinata della curva della sua fronte, la linea dei suoi denti quando sorrideva. Il pensiero di averla persa per sempre riempiva di amarezza la sua vita interiore»). L'autore del romanzo, attraverso un linguaggio ricco ed ispirato, si sofferma spesso a descrivere i luoghi che fanno da sfondo alla storia e lascia immaginare i boschi, le radure e le vallate che circondano le fortezze, i castelli ed i manieri.

L'universo fantastico costruito da Corsetti è perfettamente calato nell'atmosfera tipica delle opere di genere, ruotando infatti attorno agli effetti di sortilegi, malefici, pozioni e magie («Questi uomini vengono dall'Altopiano. Hanno bevuto il veleno di Urian in una pozza d'acqua contaminata, e da quel sorso fatale si è instillata in loro una paura così profonda, che stanno tutto il giorno ad attendere un ordine, un piccolo comando di un valletto oppure un paggio, per darvi esecuzione come docili inservienti»). Ma anche ad eterni conflitti («I nove anni di guerra avevano lasciato un po' dappertutto le loro tracce: muri abbattuti e pericolanti, ruderi piegati nel mezzo, pietre sepolcrali a pochi passi dalle deviazioni delle strade»). Ed è forse proprio il "mondo immaginario" che fa da sfondo all'intricata storia il vero protagonista de "I segni nascosti"; avvolge la narrazione, la governa, la guida, calando il lettore in un contesto dettagliatamente caratterizzato («Gösta è lo stregone che tiene Urian e tutto il regno sotto un incanto, pensò Damgaard. Gli abitanti delle Città di Grande Settentrione, dei castelli di Drago Nero, e dei villaggi di Sorgere del Sole si credono felici e liberi dal male.

Ma è tutta un'illusione, la realtà è che al mondo, in luoghi non visti, c'è un serpente grande come un drago che diffonde dolore e sofferenza, come prima facevano gli orchi di Hering. È un circolo vizioso senza fine, ed è Gösta che lo permette»). Un mondo fatato, che tuttavia non è difficile immaginare, mano a mano che le pagine scorrono sotto gli occhi «…questa è terra di orchi e di banditi. Dobbiamo stare attenti… al tramonto i lupi-demoni escono dalle loro tane. La loro è una caccia selvaggia e non vi è trappola in cui farli cadere. Quelle belve sanno affondare il loro muso nell'oscurità come i diavoli, e sono così vili da attaccare e uccidere un uomo in cinque, dieci, e anche più…».

La narrazione è un continuo di immagini che hanno l'obiettivo di descrivere il visibile, e l'invisibile, il fantastico ed il reale, il bene ed il male («State attraversando un mondo squarciato dalla morte. Qualunque strada scegliate di percorrere, guardatevi intorno, perché i serpenti corrono sul terreno nudo dell'Altipiano. Orridi e frenati, lasciando tutto impuro. Urian è forte e sta nascosto, chissà dove, dopo aver sparso il suo seme sporco nelle profondità della terra e delle acque di questa regione. Questo è l'Altopiano! Drago Nero, da cui noi veniamo, è un luogo pieno di pace; gli orchi non reggono più, stanno nascosti nelle caverne sottoterra. Essi non sono più un problema per noi; ma se Urian si diffondesse, anche Drago Nero sarebbe in pericolo»).

Ad emergere è spesso anche la fragilità emotiva dei personaggi, e la loro "umanità". («Altroché se ho paura. A volte sento che l'oscurità del male potrebbe prendermi in qualsiasi momento e buttarmi a terra, e farmi soffrire senza pietà… se dovessi giurare mille volte di non aver paura, mille volte mancherei il mio giuramento… l'artiglio del dolore gli penetrò nel petto»). Non mancano, ad ogni buon conto, frasi che colpiscono per forza evocativa, e che dimostrano la padronanza linguistica dell'autore («La vita di Bebra Andor era appena uscita dal suo corpo che un urlo corale e selvaggio, che era insieme di approvazione e di incitamento, si levò immediato dalle gole della folla ubriaca. L'entusiasmo dei presenti era all'apice»). E la sua sensibilità descrittiva («Quel paesaggio severo impregnò la sua mente di un'implacabile sensazione di solitudine… la solitudine di un re aveva la bellezza selvaggia dei fiori di campo»). Qualità narrative, quelle di Corsetti, che alla fine ci aiutano a trovare "i segni" che sono "nascosti" nel cuore del suo romanzo.