Lo scorso 23 marzo avrebbe compiuto cento anni uno dei più famosi attori italiani del Novecento: Ugo Tognazzi. Fu senza alcun dubbio, assieme ad Alberto Sordi, Vittorio Gassman, Nino Manfredi e Marcello Mastroianni, tra i principali protagonisti dell'epoca d'oro del nostro cinema, recitando infatti, da protagonista, in decine di famose pellicole, quali ad esempio, solo per citarne alcune, "Il federale"(del 1961), "I mostri"(1963), "Nell'anno del Signore"(1969), "In nome del popolo italiano"(1971), "La grande abbuffata"(1973), "Romanzo popolare" (1974), "Amici miei"(1975), "Il vizietto" (1978) e "La terrazza"(1980). E per di più vincendo meritatamente nel 1981, per una memorabile interpretazione nel film "La tragedia di uomo ridicolo"(pellicola di Bernardo Bertolucci, impreziosita da una delle più belle colonne sonore di Ennio Morricone), il premio per la migliore interpretazione maschile al Festival di Cannes.

Il grande attore, regista e sceneggiatore cremonese, iniziò la sua carriera in teatro ma i primi successi cominciarono ad arrivare quando formò un affiatato sodalizio televisivo e cinematografico con l'amico Raimondo Vianello. Poi la grande e fortunata stagione della "commedia all'italiana", che lo consacrò definitivamente, soprattutto quale attore comico di razza. Anche se non vanno comunque dimenticate le sue interpretazioni drammatiche (non ultime quelle che lo videro protagonista nel 1986, in teatro a Parigi, di un'apprezzatissima versione de "Sei personaggi in cerca di autore" di Luigi Pirandello). Tognazzi era un uomo dal carattere un po' particolare; tagliente, ispido e piuttosto ombroso. Ed era un grande seduttore; ebbe infatti una vita sentimentale abbastanza "turbolenta".

Dalle sue numerose relazioni nacquero quattro figli (Ricky, Thomas, Gianmarco e Maria Sole), venuti al mondo da tre donne diverse. Sono stati proprio loro a rivelare, in un affettuoso libro pubblicato nel 2020, alcuni curiosi aneddoti della vita del padre, da loro semplicemente ed affettuosamente chiamato "Ugo". Il grande attore, che era un appassionato di cucina, amava spesso radunare a casa sua gli amici più intimi per trascorrere lunghe serate goliardiche, in occasione delle quali serviva loro – con malcelato orgoglio – i piatti che preparava personalmente. Dopo ogni portata chiedeva agli ospiti uno spassionato giudizio (rigorosamente anonimo), che si basava su queste sintetiche definizioni: "ottimo","buono","mangiabile","cagata", "grande cagata","grandissima cagata".

Racconta Ricky: «Una sera si esibì in un pasta e fagioli che aveva preparato con una cura particolare e a cui legava grandi aspettative. Ma tra quei bigliettini anonimi gliene giunse uno che esprimeva un giudizio feroce e inequivocabile: grandissima cagata. Ugo si offese a morte, quando a tarda sera gli ospiti andarono via non salutò nessuno e andò a letto con un umore nerissimo, tenendosi quell'odioso bigliettino sul comodino. La mattina successiva annullò ogni appuntamento e andò da un grafologo con un solo obiettivo, scoprire chi era l'infame che si era permesso quel giudizio da vera carogna. I suoi sospetti cadevano drammaticamente su Paolo Villaggio, ma il grafologo non fu in grado di dargli un nome sicuro, un indiziato sul quale non ci fossero dubbi. Ugo dovette ingoiare l'affronto e accettare che quel crimine non avesse un colpevole».

Tognazzi era anche un appassionato di calcio, ed in particolare era tifosissimo del Milan, ma non disdegnava nemmeno di andare a vedere le partite della Cremonese perché era molto amico del suo presidente. Ma gli piaceva anche il pugilato, tanto è vero che – ricorda il figlio Gianmarco – il giorno in cui si sposò con la madre (Franca Bettoja), durante il ricevimento di nozze continuò a gettare lo sguardo alla televisione dove stavano trasmettendo un importante incontro di boxe. L'attore lombardo era dotato di un grande senso dell'umorismo ed amava fare scherzi. Ma un giorno del 1979 esagerò davvero. Con la complicità del famoso giornale satirico "Il Male" (che all'epoca, in Italia, aveva notevole successo), vennero pubblicate delle finte pagine di quotidiani nelle quali appariva la fotografia di Tognazzi, in manette, circondato dai carabinieri, mentre veniva portato via dalla sua villa di Velletri, in qualità di "Capo delle Brigate Rosse".

La falsa "notizia", nonostante fosse fin troppo assurda per essere vera, venne creduta come tale da molte persone, scosse l'opinione pubblica ed alimentò numerose polemiche e dibattiti. Soprattutto perché il nostro Paese, all'epoca, era in pieno clima degli anni di piombo. Così ricorda quei surreali momenti la figlia Maria Sole: «…nel giorno in cui venne fuori quella falsa notizia scoppiò davvero il finimondo, vennero addirittura a prendermi a scuola, mia madre aveva un'espressione preoccupatissima. Il suo commento, quando tutti gli chiesero conto di come gli fosse venuta in mente un'assurdità del genere, fu: "Rivendico il diritto alla cazzata". Credo che in quella occasione abbia esagerato, e probabilmente non è stata l'unica volta nella sua vita. E credo anche che di quella scelta si sia pentito».

Questo suo istinto goliardico lo trasferiva ovviamente, con una naturalezza senza pari, nella recitazione. Ed il vertice indiscusso di questa sua dissacrante ironia lo raggiunse certamente interpretando il leggendario conte Raffaello Mascetti nella celeberrima serie cinematografica "Amici miei", di Mario Monicelli, che iniziò nel 1975. Soprattutto quando propinava alla "sventurata spalla" di turno, con il suo tipico modo di fare, l'altrettanto famosa filastrocca della "supercazzola", termine poi entrato addirittura nel linguaggio comune. Ugo Tognazzi ci ha lasciato pagine memorabili di cinema e di teatro, rappresentando, senza alcun dubbio, uno dei vertici più apprezzati della settima arte del Novecento italiano. Molto probabilmente fu l'attore che assieme ad Alberto Sordi – e meglio di molti altri – ha saputo rappresentare nella maniera più viva e credibile, attraverso la sua inconfondibile arte recitativa, i pregi ed i difetti dell'italiano medio.