Torniamo dopo un po' di tempo a parlare di poesia, e lo facciamo volentieri dopo aver letto tutto d'un fiato l'esordio letterario di Mariangela Ardovini, (in arte "Meggy"), appena pubblicato, per la Eccetera Edizioni, ed intitolato "Ho fatto ragioneria...in_versi Vol.1" (106 pagine). Già dalla prefazione, Mariaester Graziano invita chi si ritrova il libro tra le mani ad immergersi dentro una lettura avida, ma non superficiale: «Se appoggiate l'orecchio su queste pagine sentirete anche l'inchiostro di quel mare che si diverte a umettare il bagnasciuga, per concedervi un'aggiunta subito rimboccata nel suo ventre salato. Accanto alla sua poesia ritornerete alle origini, all'amore generativo...ogni parola è posata qui come un respiro domato. Prendete le sue pagine, "orecchiatele" per metterci un segno, ma anche per ascoltarle quando saranno chiuse».

Ed in effetti l'opera prima di Meggy coinvolge, sorprende, talvolta spiazza; e, per quel che più in questa sede interessa, "rimane dentro". Sarà forse perché – come la stessa autrice tiene a precisare nel prologo del breve volume – lei "scrive di getto", ed è comunque attenta ai colori delle sue emozioni, che hanno sempre un rapporto stretto con la sua intimità.
A colpire, sin dalla prima composizione in versi, è non solo la metrica "nervosa", ma anche il lessico ricco, moderno, pungente; ed originale (anche nella sua forma esteriore). Per non parlare dei titoli delle poesie.
Che più di qualche volta giocano con le parole, i significati, i doppi sensi. Del resto è proprio la Ardovini che tiene a precisare (anzi, ad ammettere), che «la dualità m'appartiene, e mi si esprime addosso e ovunque, ma non ci si illuda che qui dentro "noi" si sia solo in due, forse anche per questo ho l'impressione d'essere un'opera incompiuta, come tutto ciò che mi riguarda».

Basterebbe infatti ad esempio leggere qualche verso di "Atti osceni in loco d'ugola", per capirlo, per comprenderlo bene: «Arresa nella resa / dentro la gestazione di un sentimento sconosciuto / godo come un riccio plesso al suo ologramma...un condominio di spigoli, fessure, orifizi / carne attorno all'ossa / anela il risucchio umido di morsi in fuga / Arti sapienti / circolano come arterie in ogni luogo abitabile / e due si fa uno e uno si fa doppio...e mi rannicchio il cuore alle ginocchia». Le sue brevi poesie appaiono quindi come una sorta di libero diario intimo, che aiuta a conoscere meglio i pensieri, i desideri, i rimpianti, i sogni e gli incubi di una donna che mostra e dimostra di non aver paura e che non esita a mettersi "a nudo". Senza filtri, e senza ipocrisie. C'è molto nei suoi versi: una sorta di malcelata meteoropatia («...bramo la Bella Stagione / come il servizio buono / che attende / le grandi occasioni / che non arrivano mai. / Che si sbrighi l'Estate fuori / a fare pari con questa che ho dentro...
l'Estate non è solo un buon sentimento / Scotta, quando vuole brucia»), la quale emerge soprattutto nella breve poesia che chiude il libro, ed è intitolata "Il cappotto" ("Me le porto addosso le mie paure, / le indosso / come un cappotto di lana pesante / di quelli che avvolgono / come un cartone spesso / che non si piega e non scalda / Eppure / c'ho un'Estate perenne dentro / che m'infuoca l'anima / specialmente quando è inverno / Un camino / che accende le finestre di notte / Un focolare / che avvolge tutto /...e chi non nutre il timore di bruciarsi»).

Ma, nelle composizioni dell'antologia, c'è sia un'emozionante dedica al greve peso di una mancanza («Per abbassare il volume dell'assenza nel letto / ho adottato un cuscino che metto al tuo posto / di dosso / Cumuli di vuoto, / controfigura del respiro che si annusa dei tuoi istinti / assenti...che ci fai nel pensiero del mattino? / fuoripista / come un posacenere che infetta l'aria al tavolo di chi non fuma»), che un riferimento alla sofferta consapevolezza del tempo ormai irrimediabilmente trascorso («Il passato è un armadio pieno di vestiti / che non mettiamo più.../ panni smessi / di colori sbiaditi / di taglie che non torneranno»).
I versi scelti dall'autrice parlano spesso d'amore, esplorandone talvolta gli aspetti più squisitamente poetici («amare / non l'aggettivo, il verbo / è come succhiare piano una zolletta»), talaltra descrivendo voluttuose intimità («Turgidi capezzoli / e mucosa / e mani berniane / e dita / e polpastrelli prepotenti / Sospiri / ed ansimi / e piano / e forte / e tutto»), ed altre volte ancora evidenziando invece i dubbi che esso genera, che ogni degno ispirato poeta coltiva intimamente e che, inevitabilmente, gli causano sofferenza («Dove mi hai messo? / In quale posto? / Nel barattolo di latta del caffè / al posto del cucchiaino di radice di legno / O in quella tazza dove tieni le penne / al posto della Bic / quella col ubichino svuotato d'inchiostro / che non scrive, / ma non la butti. / Tra i biscotti / stipati nel vetro d'Ikea / col coperchio proteggi freschezza, / quel tappo grigio / di pensieri...sono i tuoi tasti / ...il bianco o il nero / sono le corde / quella scordata, sempre / Quella rotta, quella sostituita / quella che sbatte /...Dove mi hai messo ? / nella parte bassa della scarpiera / tra le suole consunte. / O sono appesa / a una gruccia / nell'armadio della stagione che è stata. /...Sono il lenzuolo / o la coperta? / Il cuscino che abbracci / o quello che appoggi sulla sedia, / quello che colora, che decora / ma non t'accoglie. / Sono il profumo che aneli / o l'odore che t'impesta le narici?...Dove mi hai stipato? / Archiviata / in fondo al cassetto delle bollette / pagate / o sono agganciata tra i mazzi di chiavi accanto / all'uscio, / quelle che non sai più di quali porte»).

A corredo delle belle immagini che le sue composizioni evocano, l'autrice pone anche numerose fotografie; che non solo mostrano oggetti e momenti della sua originalissima visione del mondo, e della sua "bizzarra" quotidianità, ma soprattutto ci ricordano quanto "poetico", divertente, e stimolante (anche a livello di ricordi), può davvero essere, in fin dei conti, l'aver fatto Ragioneria...