La località di Banda Aceh – sita nell'estremità settentrionale dell'isola di Sumatra, in Indonesia – è nota a noi italiani soprattutto per essere stata una tra le più colpite dal devastante maremoto che sconvolse quelle zone nel dicembre del 2004. Non tutti sanno però che in quel lontanissimo luogo esotico esalò l'ultimo respiro uno degli eroi risorgimentali italiani più famosi ed ardimentosi: Nino Bixio, che fu uno dei protagonisti della celebre "Spedizione dei Mille" (1860) e del quale, il prossimo 2 ottobre, ricorreranno i duecento anni dalla nascita. In vista di tale importante ricorrenza Maurizio Ferrara – che è noto per essere uno dei maggiori traduttori letterari dal francese – ha appena pubblicato, per Passigli Editori, un interessantissimo romanzo (intitolato "Le ossa del generale" – 400 pagine), nel quale la leggendaria figura del condottiero ligure (seppure sullo sfondo di un'intricata ed avvincente vicenda che vede come protagonista un giornalista inglese di origine italiana) ha una centrale rilevanza.

Egli viene così descritto dall'autore (nativo di Alvito, ma che ormai da molti anni vive a Parigi): «Aveva gli occhi chiari e scintillanti, una fronte ampia con le ossa a fior di pelle, gli ispidi capelli castani che s'ingrigivano, come anche i baffi e il pizzetto, una fisionomia indubbiamente volitiva...l'eroismo di Nino Bixio non includeva tutte le sfaccettature dell'eroismo di Giuseppe Garibaldi, cosa impossibile perché il sommo Garibaldi era braccio e cuore e cervello, mentre Bixio vantava soprattutto un coraggio fisico fino alla più folle temerarietà e, proprio secondo il detto, le sue azioni parlavano più delle sue parole».

La storia narrata descrive la gaudente ed ambigua esistenza (vissuta, tra l'Europa e l'Indonesia, nella seconda metà dell'Ottocento), da tale Walter Donnelly, affetto da un'invalidante deformità ad un piede. Essa ci cala in modo convincente in un contesto storico, culturale e geografico, particolarmente affascinante ed avventuroso. A colpire, mano a mano che la lettura del libro va avanti è, in primo luogo, l'estrema accuratezza con la quale Ferrara, mescolando abilmente la verità storica alla fantasia, descrive i fatti, i luoghi ed i personaggi che animano l'intricata trama. La narrazione, ricca di dettagli, riferimenti e richiami storici, filosofici, linguistici e letterari, ricorda – soprattutto per l'ambientazione – gli splendidi affreschi di Salgari («la giungla, anche se costretta ad arretrare, continuava a cingere con il suo orlo verde l'orizzonte dell'entroterra.
E la giungla, nei mukin ribelli, aveva occhi, preparava agguati, puniva i nemici con scaramucce continue, frecce avvelenate, trappole che all'improvviso si aprivano sotto i piedi delle pattuglie»).

La prosa appare florida («il loro abbraccio lo aveva poi cullato verso una quiete a cui la sua volontà si era piacevolmente arresa, tra suoni soffocati che creavano echi melodiosi, tra immagini di paesaggi di cui non poteva conservare il ricordo perché era sicuro di non averli mai visti nella realtà»); sensoriale («in quei posti, tutti uguali, aleggiava un odore acido di corpi mal lavati, di avanzi di cucina, spesso in bella mostra in un angolo della stanza, e si udiva in sottofondo, al di là degli esili tramezzi di cannicci, il rumore sordo delle carni che cozzavano all'unisono»); sensuale («il suo viso aveva tratti un po' spigolosi, ma che si animavano in un sorriso smagliante in cui si notava un dente appena scheggiato, e sul quale Walter desiderò passare la lingua, sentirne l'asperità»).

Le scene descritte, che spesso sono di grande efficacia, talvolta sembrano matrioske letterarie che a loro volta ne "nascondono" altre, non meno evocative («...abitava in una zona di case basse dove i maomettani andavano a prendersi un anticipo del paradiso con le urì in carne ed ossa dei bordelli malesi...sapeva che quei vicoli erano un autentico formicaio, perché i cinesi davano l'impressione di essere sempre in movimento, di sciamare in nugoli indaffarati, in colonne laboriose...era un giardino lungo e stretto, dove il sole doveva venire a giocare di rado anche nella bella stagione, talmente sembrava prigioniero della pietra che lo circondava, eppure aveva una sua anima, avrei potuto dire, ed era forse quella della statua di una ninfa corrosa dal tempo, che ne sorvegliava un lato»); o fortemente filmiche («...nel silenzio che era sceso tra quei bianchi, si udiva solo il tonfo delle pale, qualche respiro più accentuato per accompagnare lo sforzo delle braccia, o il grido rauco di un uccello, mentre tutta la scena era rischiarata dalla lanterna appesa alla foglia di una piccola palma salak...»).

Inoltre, un accorto utilizzo dei flashback narrativi contribuisce a rendere l'articolata storia ancora più avvincente. Sino al finale, che svelerà non soltanto le ragioni della morte del grande eroe risorgimentale italiano ma anche la sorte, e la vera, intima natura, di Walter Donnelly. Uomo che a causa della sua deformità riteneva di esser nato «con un credito da riscuotere sul conto del destino», ma che aveva anche acquisito l'amara consapevolezza che la sua «nobiltà d'animo stonava con i suoi pensieri più intimi, più tenebrosi, nutriti spesso dall'invidia e dal rancore verso i più fortunati, come anche dal sospetto della propria mediocrità»