Non serve una particolare profondità di pensiero per rendersi conto del fatto che il futuro del nostro pianeta passi necessariamente attraverso una seria presa di coscienza della drammaticità dei problemi ambientali connessi alla sua diffusa antropizzazione. Né –tanto meno – serve grande competenza per comprendere che il modello economico globale attuale è assai sconsiderato, essendo stato fondato esclusivamente sul miope bilanciamento tra costi e prestazioni senza tuttavia tenere conto che le risorse terrestri sono limitate e che l'equilibrio ambientale della Terra è molto delicato. Mai come oggi, dunque, il nostro domani risulta indissolubilmente legato ad un avveduto sfruttamento delle materie prime disponibili, e, di conseguenza, ad un saggio utilizzo anche dei materiali "artificiali", che vengono utilizzati per realizzare beni e fornire servizi alla collettività.

Su quest'ultimo argomento segnalo volentieri la pubblicazione –per la collana "Farsi un'idea" della casa editrice "Il Mulino"–di un breve saggio a firma del chimico milanese Luca Beverina, intitolato "Futuro materiale –Elettronica da mangiare, plastica biodegradabile, l'energia dove meno te lo aspetti" (171 pagine). Il libro è interessante perché consente di gettare uno sguardo curioso sul nostro passato (ad esempio attraverso la "storia" di alcuni composti che ci hanno cambiato la vita, come la plastica), ma anche verso il nostro futuro; il quale, grazie alle recenti scoperte tecnologiche, ed al sapiente utilizzo di nuovi materiali, sembra prospettare gradite sorprese, ma  anche più di qualche insidia. Beverina spiega perché, ed in che modo, la nostra vita verrà rivoluzionata nei prossimi anni grazie alle applicazioni pratiche che seguiranno alla diffusione ed al perfezionamento delle nuove tecnologie. Egli inizia analizzando i meccanismi che hanno condotto all'evoluzione delle tecniche di illuminazione domestica, e che potrebbero –entro breve tempo – garantire un grosso risparmio energetico.
E infatti così scrive: «Le lampadine a incandescenza andrebbero classificate più tra le fonti di calore che tra quelle di luce, in quanto la loro efficienza energetica è inferiore al 5%; tutto il resto dell'energia utilizzata produce calore.

L'efficienza dei LED inorganici arriva anche al 30%. Le efficienze degli OLED sono al momento inferiori, ma la recente scoperta del fenomeno della fluorescenza ritardata attivata teoricamente, promette di portare a rapidi ed eccezionali incrementi di prestazioni. L'unione di tecniche di manifattura a basso costo, ridotto uso di materiali di partenza, elevata efficienza di conversione elettrica in luce e compatibilità con substrati flessibili, sono un felice esempio di innovazione che sa coniugare risultati sorprendenti a elevata efficienza energetica e minimo impatto sulle risorse disponibili». Molto interessante è il capitolo dedicato alle materie plastiche.
Nonostante la maggior parte delle persone ritenga diversamente, in realtà non tutte sono riciclabili; il cosiddetto PET infatti lo è, mentre il polietilene (che è poi quello con il quale sono fatti i tappi delle bottiglie), purtroppo no, se non per combustione. Tale diversità di composizione chimica dovrebbe pertanto indurci a smaltire i due materiali in maniera diversa. E invece quasi nessuno lo fa.

Dobbiamo dunque prendere coscienza che ogni singolo comportamento, sommato a quello degli altri, può risultare determinante per salvare il nostro fragile pianeta. O, diversamente, condurlo al baratro. In forza di tali incontrovertibili assunti scientifici l'autore del saggio osserva che «una plastica non biodegradabile di per sé non pone problemi per l'ambiente. Il vero problema delle plastiche consolidate è l'uso sconsiderato che ne è stato fatto, in larga parte a causa del loro basso costo». Per ovviare a ciò, le moderne tecnologie hanno recentemente trovato geniali soluzioni. In un prossimo futuro, infatti, sempre più spesso troveremo l'etichettatura stampata direttamente sui prodotti che quotidianamente acquistiamo; questo avverrà attraverso materiali biodegradabili, ed in alcuni casi addirittura commestibili.

Tale ingegnosa soluzione consentirà non solo un notevole risparmio di risorse, ma anche una diminuzione dei costi di produzione e del prezzo di vendita. Particolarmente curioso è il capitolo del libro dedicato ai metalli (elementi i quali, a parte qualche eccezione, non sono quasi mai presenti in forma pura sulla crosta terrestre). Beverina racconta ad esempio in che modo Harry Brearley arrivò ad inventare l'acciaio inossidabile. Egli, infatti, era alla costante ricerca di nuovi materiali e, attraverso un sistema sperimentale di tipo "combinatoriale", provò a mescolare il ferro con altre sostanze. I suoi esperimenti si rivelarono tuttavia fallimentari. Per fortuna egli aveva l'abitudine di conservare nel suo laboratorio tutte le fusioni metalliche che aveva sino a quel momento tentato, e che "documentavano" le prove dei suoi numerosi insuccessi. Un giorno tuttavia notò con sorpresa che tutti i pezzi di metallo che aveva realizzato, mescolandoli con altre sostanze, si erano arrugginiti.
Tranne uno. Che era rimasto invece lucente e liscio.

Lo scienziato britannico si rese subito conto che si trovava davanti ad una scoperta importante. Bisognava soltanto ricordare quali materiali, ed in quale misura, aveva mescolato. Essendo un tipo scrupoloso, riuscì agevolmente a risalire alla sostanza (il cromo) che aveva aggiunto al pezzo di ferro. Questa invenzione gli consentì di diventare ricco e famoso. Il nostro futuro, quindi, è nelle mani dei cosiddetti "scienziati dei materiali" i quali, diversamente dai chimici, dai fisici e dagli ingegneri, hanno il delicato e difficile compito di portare avanti quella delicata filiera che parte dall'ideazione, passa per l'industrializzazione e conduce sino al prodotto finito.