Tra coloro che hanno saputo regalare al pubblico di tutto il mondo memorabili emozioni cinematografiche, va certamente ricordato Allan Stewart Konisber, meglio noto a tutti con il nome d'arte di Woody Allen. Il prossimo 1° dicembre il grande regista, attore e scrittore statunitense compirà 85 anni e, per l'occasione, ha dato alle stampe una lunga autobiografia, (intitolata "A proposito di niente"– La Nave di Teseo, 398 pagine). Dalla sua lettura emerge (e non poteva essere diversamente...) il ritratto di un uomo geniale e dissacrante; ma anche assai tormentato. E infatti una parte non marginale del libro è dedicata al tentativo di smontare, attraverso riferimenti documentali, testimonianze e ricordi, la delicata questione delle accuse di pedofilia lanciategli diversi anni fa da Mia Farrow (attrice di molti dei suoi film, con la quale ebbe una intensa relazione sentimentale). Non vogliamo esprimere un giudizio su questa spinosa vicenda, ed allora preferiamo dedicarci al Woody Allen che meglio conosciamo: autore di pellicole memorabili, battutista ineguagliabile, sceneggiatore raffinatissimo ma, soprattutto, uomo dotato di un'ironia (e di un'autoironia), fuori dal comune.

E, leggendo l'autobiografia, se ne hanno numerosi esempi: «Se mi avesse tirato su solo mio padre, a quest'ora avrei una fedina penale lunga come la Torah; nella mia famiglia alle tre di notte non succedeva nulla che non passasse con il bicarbonato di sodio; posso sfoggiare giacche di tweed come un professore di Oxford, ma dentro sono un barbaro; dopo tutto siamo solo un incidente nell'universo. E neanche il prodotto di un'intelligenza benevola, ma solo l'opera di un imbranato; ciascuno dei miei genitori mi ha insegnato cose che mi sono state utili per tutta la vita. Mio padre: quando compri un giornale all'edicola non prendere mai quello in cima. Mia madre: l'etichetta dei vestiti va sempre dietro». Allen conosce i suoi limiti, e ci gioca volentieri: «Odio qualunque aggeggio. Non possiedo orologi, macchine fotografiche o registratori, non vado in giro con l'ombrello, e ancora adesso ho bisogno di mia moglie per vedere un dvd. Non possiedo computer, non so neanche cosa sia un programma di scrittura, non ho mai cambiato un fusibile, spedito una mail o lavato un piatto. Sono uno di quegli anziani cui bisogna dare un telecomando con tutti i tasti coperti dallo scotch, di modo che possa solo accendere, spegnere e regolare il volume».

E –almeno così sembra –non ha nemmeno grande stima di sé, come regista: «Sono pigro e privo di disciplina, e la mia tecnica è quella di uno studente fallito...sono un imperfezionista. Non ho la pazienza di girare e rigirare la stessa scena da più punti di vista...
se i miei film non sono migliori, la colpa è solo mia...
non ho la dedizione di Spielberg e di Scorsese, per tacere di altri talenti. Non riesco a interessarmi abbastanza a fare un film da rinunciare a vedere l'inizio di una partita di basket....quanto alla scrittura, a chi interessa, dopo aver fatto colazione scrivo a mano, a letto, su taccuini gialli. Lavoro tutto il giorno e di solito, almeno in parte, anche nel fine settimana. Questo non perché sia un maniaco del lavoro, ma perché mi evita di affrontare il mondo, uno dei posti che mi piacciono di meno. Apro il cassetto alla ricerca di appunti che ho accumulato nel corso dell'anno. Se nessuna di queste idee sembra quagliare, mi sforzo di pensare a una storia da scrivere, anche se richiede settimane. È la parte peggiore, dato che implica che me ne stia seduto o vada avanti e indietro in una stanza giorno dopo giorno, e tenti di concentrarmi cercando di non pensare al sesso e alla morte. Alla fine arriva l'ispirazione o, verosimilmente, mi adatto a qualche spunto passibile di sviluppo, pensando che devo darmi una sveglia perché le ragazze (le figlie, ndr) hanno bisogno di scarpe nuove».

Celebre è la sua ipocondria: «Sono uno che ha attacchi d'ansia se non è a due passi dal New York Hospital...mi diverto ad andare dai medici, farmi misurare la pressione, farmi le lastre, sentire che sto bene e sapere che quella macchiolina non è un melanoma ma il segno di un pennarello». Altrettanto famosa è la sua ritrosia "pubblica": «Non sono mai entrato a far parte dell'Academy, malgrado la loro insistenza, ma solo perché sono uno a cui piace stare da solo. L'unica organizzazione di cui ho preso la tessera in vita mia è stata quella dei boy scout, a dieci anni, e me ne sono pentito». Nel libro, Allen, si mette spesso "a nudo", dichiarando di non amare molto le feste e gli animali domestici; di detestare le passeggiate in mezzo alla natura e le biciclette; di non aver alcun desiderio di vedere il Taj Mahal, la Grande Muraglia cinese, il Grand Canyon, le Piramidi egizie o passeggiare nella Città Proibita, ed ammette, candidamente, di non aver mai letto l'"Ulisse" di Joyce, il "Don Chisciotte", "Lolita" e "1984"; di non aver mai visto "Come era verde la mia valle","Cime tempestose" e "Ben Hur"; di non avere mai apprezzato "Il grande dittatore"di Chaplin, e di non essere stato un fan di Laurel & Hardy e di Katharine Hepburn, ma di adorare Marlon Brando (un attore che, secondo lui, ha cambiato la storia della recitazione) e Roberto Benigni.

Dal libro emerge anche l'amore sconfinato che, come è noto, il regista nutre verso New York. Descrive infatti volentieri, in più occasioni, scorci dei quartieri dove ha vissuto, i palazzi dove ha abitato, le strade nelle quali passeggia. Ma non lesina nemmeno apprezzamenti verso Parigi, Barcellona, Roma. Con il Belpaese Allen ha un legame speciale. Non solo perché sa perfettamente che il pubblico italiano è un suo grande estimatore, e perché si è sposato con Soon-Yi Previn nella romantica Venezia, ma anche per la stima infinita che nutre per Carlo Di Palma e Vittorio Storaro, e perché adora le opere di De Sica, Antonioni e Fellini.
Nel libro racconta che una volta, il grande regista riminese, lo cercò al telefono, ma Woody, pensando che fosse uno scherzo, si rifiutò di parlargli (salvo poi, una volta resosi conto dell'errore e della figuraccia, richiamarlo la mattina successiva). Allen, ad un certo punto del libro, così sintetizza mirabilmente la sua esistenza: «In vita mia ho scritto moltissimo: per la radio e per la televisione, tenuto concerti, scritto e diretto film e commedie, ho fatto addirittura la regia di un'opera lirica. Ho fatto di tutto, da un incontro di boxe con un canguro in televisione a un allestimento di Puccini.
Ho potuto cenare alla Casa Bianca, giocare a baseball al Dodger Stadium con giocatori della Major League, ho suonato jazz a New Orleans, ho viaggiato in mezzo mondo incontrando capi di Stato, uomini e donne di talento, tipi spiritosi e attrici incantevoli. Ho pubblicato dei libri. Se morissi adesso, non potrei lamentarmi, né lo farebbe un mucchio di altra gente». Non farlo, per carità! Ho voglia di vedere un altro tuo film. Ed aspetto di leggere l'autobiografia che scriverai quando avrai compiuto cento anni! "Provaci ancora, Woody".