I colori dell'autunno sono inconfondibili. Accompagnano dolcemente il letargo della terra verso i rigori dell'inverno, offrendo agli occhi sfumature infinite di tonalità: dal verde al rosso, dal giallo al marrone, che rendono incantevoli i paesaggi, soprattutto quelli collinari e montani. La stagione autunnale è quella che, più delle altre, spinge alla malinconia, che induce alla riflessione, che lascia riaffiorare i ricordi, anche se non sempre piacevoli. È la stagione dei sentimenti struggenti, dei pensieri assorti, dei bilanci interiori. Quella che probabilmente evoca le sensazioni più forti.
È stato da poco pubblicato, per la casa editrice Il Mulino, un interessante saggio a firma di Alessandro Vanoli intitolato "Autunno", che propone al lettore un "viaggio storico" all'interno di questo periodo dell'anno, ricco di frutti, profumi, umori e colori. Lo scrittore bolognese spiega innanzitutto che l'origine della parola "autunno" è probabilmente da ricollegare al verbo latino "augere", verbo che significava aumentare, arricchire.

Evidentemente scelta perché riferibile ad un periodo dell'anno che è notoriamente ricca dei frutti della terra.
A ben vedere, se rapportato alle nostre vite, è quello della maturità dell'esistenza, nel quale il "contadino"che è in ciascuno di noi, di solito, riesce a raccogliere i frutti del suo faticoso lavoro "primaverile"ed "estivo". Scrive l'autore, così descrivendo sinteticamente il contenuto del suo libro: «L'autunno è un po'come tornare a casa quando il viaggio si è compiuto. L'entusiasmo un po' folle della primavera ormai lontano, la serena pienezza dell'estate già alle spalle. E l'autunno lì davanti, che par quasi oscillare tra due mondi: comincia nel caldo residuo dell'estate e nella sua abbondanza, per terminare nel freddo dell'inverno e dei suoi rigori.
Proprio per questo sarà un viaggio fatto di tante cose, quello che affrontiamo.

Dei riti della vendemmia, del buon vino, dei frutti tardivi che colorano le mense, di uomini e animali in marcia tra le valli; dei lunghi giorni di pioggia e dei mesi delle nebbie; di feste, di riti e di paure, perché in autunno, si sa, i morti e i mostri sono sempre lì per ritornare.
E poi le foglie, i colori: come se tutto quel verde, vitale ed esondante dei mesi precedenti, avesse solo nascosto la natura più vera delle piante...il ritmo dell'autunno è la lentezza: quella del buio che si fa strada, della natura che si ferma un po'alla volta, della terra che si prepara al gelo dell'inverno». Il percorso descrittivo che propone Vanoli accompagna il lettore nel cuore della storia dell'umanità. E, per farlo al meglio, l'autore non solo scava nel cuore culturale di popoli, tradizioni ed aree geografiche; richiama pagine di letteratura, versi poetici e suggestive opere d'arte figurativa, racconta storie, miti, leggende e aneddoti, ma analizza anche, nel dettaglio, quelli che sono gli elementi distintivi della stagione più malinconica dell'anno: il vino, l'olio, le castagne, i funghi, le foglie caduche, la pioggia, la nebbia, il buio che giorno dopo giorno sottrae spazio alla luce, gli gnomi, il culto dei morti.

Lo storico emiliano lo fa, spesso, attraverso quelle che sono oramai diventate delle vere e proprie icone figurative della stagione autunnale. Basterebbe pensare ad esempio ad alcuni dei dipinti più celebri di Caravaggio. E infatti così scrive: «L'ha dipinta lui la prima natura morta, nel 1596...un piccolo, perfetto trionfo d'uva bianca e nera, mele, pere e fichi, il tutto ornato elegantemente con le loro foglie, e ordinato in una cesta».O alla geniale produzione artistica del pittore milanese Giuseppe Arcimboldo, al quale venne infatti l'idea di realizzare «ritratti e fisionomie composti con combinazioni assai bizzarre di vegetali, cose ed esseri viventi. E così, pescando dalla tradizione medievale delle allegorie, si inventò un personaggio fatto di frutta di stagione». Ma Vanoli nel suo saggio ricorda anche – cambiando completamente ambito artistico –alcune memorabili pagine di poesia e letteratura dedicate al periodo dell'anno che si pone in mezzo tra l'estate e l'inverno.

Fra tutti segnaliamo volentieri il richiamo ai celebri versi del "San Martino", componimento poetico che Giosuè Carducci, sino all'ultimo momento, era infatti intenzionato ad intitolare "Autunno": «La nebbia a gl'irti colli /piovigginando sale / e sotto il maestrale / urla e biancheggia il mar; / ma per le vie del borgo dal ribollir de'tini / va l'aspro odor de i vini / l'anime a rallegrar.
Gira su'ceppi accesi / lo spiedo scoppiettando: / sta il cacciator fischiando / sull'uscio a rimirar / tra le rossastre nubi / stormi d'uccelli neri, / com'esuli pensieri, / nel vespero migrar». O anche alle evocative immagini che il grande commediografo britannico William Shakespeare ci regala in uno dei suoi più appassionati sonetti: «Quando seguo l'ora che batte il passar del tempo / e vedo il luminoso giorno spento nella tetra notte...allora, pensando alla tua bellezza, dubbio m'assale / che anche tu te ne andrai tra i resti del tempo / perché grazie e bellezze si stacca dalla vita / e muoiono al rifiorir di altre primavere / e nulla potrà salvarsi dalla lama del Tempo / se non un figlio che lo sfidi, quand'ei ti falcerà».

L'autunno, come è noto, è legato anche a memorabili canzoni (si pensi infatti a "Les feuilles mortes", portata al successo da Yves Montand nel secondo dopoguerra, e che ben presto, "trasformata"in "Autumn Leaves", divenne uno "standard"jazz senza tempo). O alla celeberrima "Autumn in New York", canzone del 1934, e magistralmente interpretata soprattutto dal grande Frank Sinatra. Un libro che incuriosisce e stuzzica. Da leggere, magari seduti su un divano, davanti al rassicurante crepitio del fuoco di un camino acceso, in attesa del prossimo Natale.