Tra gli eventi più conosciuti dell'antica tradizione storica italiana c'è, senza alcun dubbio, il Palio di Siena. Manifestazione che è ben più di una semplice corsa di cavalli, e che in qualche modo racchiude e raccoglie in sé lo spirito dell'inimitabile peculiarità culturale del nostro paese. Le sue origini risalgono al 1200, epoca in cui in molti borghi medievali italiani si iniziò a rendere omaggio al santo protettore con coinvolgenti feste religiose, o a celebrare,con "giochi di piazza", all'interno delle mura cittadine, la vittoria di una guerra, la presa del potere da parte di qualche signorotto, o un matrimonio principesco. Queste manifestazioni ludiche urbane – sacre e profane – per ovvi motivi raccoglievano sempre l'appassio nata partecipazione di coloro che abitavano all'interno delle mura cittadine, non solo perché spesso costituivano un piacevole diversivo alle noiose giornate che si vivevano a quel tempo, ma anche e soprattutto perché non di rado consentivano, per l'occasione, un tollerato allentamento delle regole di comportamento quotidiane, attraverso la disputa di giochi, quintane e cruenti tornei d'arme, che talvolta arrivavano a causare la morte ed il ferimento di cavalieri e popolani.

Il Palio di Siena come noi abbiamo imparato a conoscerlo, tuttavia, nacque soltanto più tardi, nel Seicento, e poi, nell'Ottocento, cominciò ad acquistare quegli elementi distintivi che ancora oggi ne costituiscono la sua principale caratteristica identitaria.
Quest'anno, complice l'epidemia di Coronavirus, nessuno dei due Palii tradizionalmente previsti (quello del 2 luglio, dedicato alla Madonna di Provenzano, e quello del 16 agosto, che ricorda invece la Madonna dell'Assunta) si correrà. Erano 76 anni che questo non accadeva (l'ultima volta avvenne, tra il 1940 ed il 1944, a causa della seconda guerra mondiale). Per tutti coloro i quali volessero provare ad alleviare la nostalgia di quell'inimitabile atmosfera, o intendessero approfondire la conoscenza di questa affascinante manifestazione, suggerisco la lettura di un dettagliatissimo saggio a firma di Duccio Balestracci, edito da Laterza, ed intitolato "Il Palio di Siena – Una festa italiana"(306 pagine).

Il libro propone un'appassionante ricostruzione di tutto ciò che c'è dietro la corsa di cavalli più famosa al mondo, che da secoli affascina e coinvolge non solo antropologi, giornalisti, scrittori, e registi cinematografici, ma anche regnanti di ogni epoca e nazione. Lo storico senese spiega, già nella bandella di copertina, in che modo l'originario evento, col tempo, si è trasformato in "palio", e soprattutto il perché una manifestazione che non era poi molto dissimile a tante altre che si svolgevano (dal Medioevo in poi) un po' dovunque sul territorio italiano, è riuscita a "sopravvivere" – nelle modalità che noi tutti conosciamo – soltanto a Siena. Chiarisce Balestracci che «ciò che fa del Palio di Siena un soggetto particolare rispetto alle altre feste simili è un solo elemento: l'entrata in scena delle contrade», le quali, fino al XV secolo, «non hanno connotazioni di entità stabilizzate, perché assomigliano più a specie di comitati che le istituzioni utilizzano per beneficiare della vitalità e vivacità di tanti volontariappassionati»; comitatiche vengonocreati, e si sviluppano, all'ombra delle famiglie aristocratiche della città. «È in questo contesto che si incontrano le prime aggregazioni ludiche...con nomi che già sono espressione di lemmi dettati dalla fantasia: Giraffa, Zoccolo e Chiocciola, citati per le pugna di inizio Quattrocento».

Nella prima metà del Cinquecento si assisterà ad una progressiva cristallizzazione dei toponimi delle varie contrade, che, da quel momento in poi, costituiranno non solo un preciso riferimentoad unaspecificaarea territorialecittadina, ma consolideranno il loro ruolo di «organizzatrici e protagoniste dei giochi cittadini».
Tra le prime manifestazioni ludiche organizzate in città vi furono certamente le cosiddette "Cacce urbane" (di lepri, cervi, cinghiali), e che in un primo momento comprendevano anche la "tauromachia". Esse, tuttavia, alla fine del Cinquecento, vennero bandite a causa delle crudeltà che erano perpetrate in danno degli animali. Ed infatti, nel 1605, per la prima volta, si iniziò a parlare di «sostituire la corsa delle bufale con un palio di cavalli».

Scrive a tal proposito Balestracci: «È in un anno imprecisato, più o meno a metà Cinquecento, che prende avvio la storia del Palio vero e proprio, quello che vede le contrade protagoniste della corsa in Piazza del Campo. E tutto comincia in un quartiere di lupanari, nelle strade del rione di Provenzano, nella Giraffa, dove un soldato, uscendo dal postribolo, prende ad archibugiate un'immagine della Madonna, riportandone una nemetica punizione nel momento in cui lo schioppo gli esplode in faccia». Probabilmente trattasi di una semplice leggenda. Quel che è certo è che, grosso modo da lì, prese il via la storia del Palio di Siena.

Ed infatti «già alla fine del Seicento le contrade sono oramai considerate l'icona distintiva della città», ed il visitatore che varca la porta della città percepisce immediatamente che «gli elementi identitari della gente che ci abita sono la Vergine e le contrade... ciò che appare più originale èil collegamento chele contrade operano tra mondo sacrale e mondo floklorico, in un procedimento che interpella le scadenze della tradizione popolare». In questo articolato contesto si inserisce una sempre più crescente ed accesa conflittualità tra i rioni, perché i Palii vinti non solo fanno acquisire prestigio a quelli che risalutano vincitori, ma soprattutto consentono loro di beneficiare dei premi, dei lasciti e delle elemosine che da ogni vittoria, per tradizione, conseguono. L'obiettivo, l'oggetto del desiderio, «è il "palio", ovvero il drappo ("pallium"), in origine prezioso, la cui destinazione finale, non di rado, è quella di addobbare una chiesa».

Tale conflittualità contradaiola, che costituisce poi anche il "sale" della gara stessa, nasconde tuttavia anche una mutualità nascosta, che aiuta a comprendere fino a che punto un'apparente distinzione tra le varie contrade cittadine celi comunque un'intima complicità identitaria. Racconta infatti Balestracci che se è vero che «nessuna contrada vuole rinunciare a creare momenti festivie di solidarietà sociale, pena il declassamento di immagine, avvertito come un "vulnus" an che dalle consorelle», è anche vero che «quando nel giugno del 1785 il Leocorno delibera di non effettuare la festa titolare perché la compagnia laicale alla quale si appoggiava e che sovvenzionava l'evento è stata soppressa, l'Oca si offre di farsi carico di tutte le pendenze finanziarie dell'altra contrada, consentendole lo svolgimento dei festeggiamenti, riportando la lode universale di tutta la città».

L'autore del saggio descrive poi l'origine dei simboli e dei colori delle varie contrade; alcuni di chiara derivazione corporativa (si pensi ad esempio agli abitanti delle coste d'Ovile, i quali decisero di adottare come insegna quella del bruco, in quanto essa dava il nome alla compagnia dei subalterni dell'arte della lana, che era stata protagonista di un'insurre zione contro il governo comunale nel 1371). Attingendo a fonti antiche e moderne Balestracci spiega che «l'alfabeto degli animali delle contrade di Siena costituisce l'espressione di una cultura erudita ma anche popolare, con continue contaminazioni» (Patrizia Turrini); e che «quello delle contrade è dunque un bestiario sui generis...che si rifà all'emblematica del Quattro e Cinquecento, che rivisita un'iconogra fia classica (per esempio la lupa e i gemelli, l'oca capitolina, il delfino e la civetta della mitologia), o ne crea una nuova, di imprese svincolate dallo zoo più comune. È il gusto eccentrico ed esotico tipicamente amato nel Rinascimento a produrre così giraffe, unicorni, pantere, rinoceronti o elefanti, che ispirano la costruzione delle prime macchine, e finiscono per diventare il simbolo di un'associazione ludica» (Alessandro Savorelli).

Non meno interessante è il venire a sapere che la suddivisione territoriale in contrade avvenne, nel 1730, in maniera per nulla casuale. L'intento di Violante Beatrice di Baviera, all'epoca governatrice della città, fu infatti quello di riconoscere a ciascuna contrada una "base imponibile" il più possibile omogenea. A quelle più ricche viene infatti assegnato un territorio più ristretto. A quelle più povere, invece, con un numero di cittadini molto maggiore, uno ben più grande. La storia del Palio è piena di aneddoti e curiosità. Quello di agosto, ad esempio, venne istituito nel 1701 (e la scelta di duplicare quello di luglio fu dovuta anche all'intenzione di attirare più turisti possibile!). Il primo "drappellone" con la Madonna dell'Assunta risale tuttavia al 1777, prototipo di un'iconografia che, da quel momento in poi, non cambierà più.

Non saltuari furono, nel corso dei secoli, i "palii straordinari", alcuni addirittura richiesti da regnanti che erano rimasti affascinati dallo straordinario spettacolo al quale avevano assistito, o del quale avevano sentito parlare. Rileva tuttavia Balestracci che dalla seconda metà dell'Ottocento, la festa, anche per riuscire ad attirare più turisti possibile, si ammanta di aspetti «sempre più popolani», tanto è vero che, nel 1869, venne creato un comitato che aveva il compito di ampliare il calendario degli svaghi e delle manifestazioni di contorno al palio vero e proprio.
Particolarmente sapide sono le storie che riguardano i fantini, non di rado artefici di ambigui "cartelli", ed altrettanto spesso protagonisti di clamorosi "tradimenti" e di non meno plateali scorrettezze. Prima, durante e dopo le gare. Leggendo il saggio si apprende che, a correrlo, furono anche due donne.

La prima, tale Virginia Tacci, nel 1581 (che arrivò terza); la seconda, Rosanna Bonelli, negli anni cinquanta del Novecento (e che addirittura ispirerà il film "La ragazza del palio", di Luigi Zampa del 1957). Curiosa è anche la storia della manifestazione senese nel Novecento.
Non tutti sanno che il 5 giugno del 1935 il podestà di Siena chiese ed ottenne da Mussolini (il quale era noto "protettore" della contrada del Drago...), il diritto a qualificare come "palio" solo quello di Siena, e non altri.
Tale simbiosi "ideologca" non fu affatto casuale perché all'epoca, quella toscana, era «una delle città più fasciste d'Italia». Spiega Balestracci: «Il discorso retorico intorno alle contrade e allo spirito di accesa passione dei senesi si incontra bene con l'immaginario fascista... i contradaioli sono forti, agguerriti, pugnaci, orgogliosi, coscienti e memori del loro retaggio di tradizioni, portati a vivere il Palio in una sorta di misticismo che coniuga esaltazione eroica guerriera e religiosità cristiana, perché con la rievocazione della sua storia gloriosa, Siena, sa magnificamente unire in essa la non meno degna manifestazione della sua fede e della sua religiosità...perché che altro è la vita se non una corsa al Palio?».

L'atmosfera, ovviamente, cambierà totalmente dopo la Liberazione. Subito dopo la fine della guerra, infatti, si farà strada una «egemonia culturale che, non di rado, guarda con disinteresse (quando pure non con diffidenza e ironia) al "retrogrado" mondo contradaiolo e all'espressione di esso nella corsa al Palio». A tale distacco "politico" si andrà ad aggiungere, negli ultimi anni, l'opinione di coloro che vorrebbero addirittura abolirlo, ritenendolo infatti manifestazione che non tiene nel dovuto conto i diritti degli animali a non essere sfruttati per motivazioni meramente ludiche. A ciascuno di noi la libertà di farsi una serena opinione in proposito.