«Attrice impegnata che ha portato in scena il volto autentico della pratica attoriale intesa come esperienza totale di donna e di artista. In virtù dei suoi indiscussi successi cinematografici, dei meriti artistici e per aver portato un nuovo modo di guardare al mondo femminile nel cinema italiano, nonché per il talento innato che solo gli artisti a tutto tondo sanno possedere, nel segno di una straordinaria capacità di reinventare i modi della comunicazione nei linguaggi delle arti visive, e del cinema appunto che di esse è una parte fondante».

Per questa capacità Luigi Fiorletta, direttore dell’Accademia di Frosinone, ha consegnato a Micaela Ramazzotti il diploma accademico Honoris Causa in Arti Visive.

L’attrice, che ha al suo attivo un David di Donatello, tre Nastri d’Argento e un Ciak d’oro, è stata ospite nel pomeriggio di ieri a palazzo Tiravanti, dove ha avuto luogo il nono e ultimo incontro della quarta edizione de I giovedì dell’Accademia.

Tra marzo e maggio, oltre alla Ramazzotti, hanno preso parte agli incontri anche Matteo Garrone, Flavio Caroli, Fabrizio Plessi, Riccardo Vannucci, Francesco Rutelli, Fabio Sargentini, Bruno Ceccobelli e Mario Perniola.

La Ramazzotti - reduce dal debutto al Festival del Cinema di Cannes con il film di Paolo Virzì “La pazza gioia” al fianco di Valeria Bruni Tedeschi - ha chiacchierato sul tema “Metamorfosi donna”. I ruoli femminili nel cinema italiano. Purtroppo molte delle domande rivolte all’attrice non sono state all’altezza del tema anche se la Ramazzotti, con grande professionalità e con il suo bellissimo sorriso, ha cercato di vivacizzare l’intervista.

Durante l’incontro si è ricostruita la quindicinale carriera dell’attrice attraverso alcune sequenze dei suoi film.
“La pazza gioia”, il film diretto da Virzì - con il quale è sposata dal 2009 - e cosceneggiato dalla Archibugi, racconta il vagabondaggio di due amiche un po’ squinternate (in alcune scene si può leggere qualche assonanza con Thelma e Louise), in cui la Ramazzotti interpreta, in maniera forte e convincente, la fragile Donatella Morelli: «Non ho mai pensato a un ruolo. Mai cercato» dice, come se fosse il personaggio a cercare lei.

In questo incontro si è parlato di sensibilità femminile, si sente di lasciare un consiglio agli studenti presenti?
«Non mi sento di salire in cattedra e di dare consigli anche se La pazza gioia mi ha aiutato a capire una cosa: a non giudicare mai, ad ascoltare le persone quando ti raccontano la propria vita e i loro problemi».

Il film è una fuga. C’è un punto d’arrivo del personaggio? Forse quando Donatella incontra suo figlio?

«Penso che il film, per come l’ho vissuto, finisca con un punto di partenza. Penso a Donatella come una donna che ha deciso di iniziare un percorso di un certo tipo, non so se di guarigione (mi piacerebbe immaginarlo) ma sicuramente un percorso di inizio».
La Ramazzotti ha visitato delle cliniche psichiatriche per entrare nel ruolo del suo personaggio: «Mi è servito molto per capire perché questa donna è diventata una ragazza così peculiare. Ho cercato di immaginarla nel suo percorso di vita, nella sua solitudine».