La sentenza in primo grado per il reo confesso Michele Rossi è arrivata a meno di un anno dall’omicidio. Da quel 29 maggio del 2015 in cui l’avvocato Mario Piccolino fu colpito alla testa da un colpo di arma da fuoco. Ieri, alla presenza dello stesso imputato e dei familiari dell’avvocato originario di Selvacava, il giudice Perna ha deciso: vent’anni, con rito abbreviato, per l’imputato reo confesso.

A pesare nella decisione, oltre alla scelta del rito, il bilanciamento tra le aggravanti (la premeditazione) e le attenuanti. Il pubblico ministero Alfredo Mattei aveva chiesto per Rossi - al netto dello sconto previsto in abbreviato - trent’anni di reclusione.

La lettura del dispositivo, le cui motivazioni saranno rese note tra 90 giorni, è stata data poco prima delle 15 e 30 di ieri dopo tre ore di intensa attesa. Presente all’interno dell’aula,rigorosamente serrata, l’imputato. Nessuna reazione, sembrerebbe. Nell’udienza precedente, invece, lo stesso Rossi (assistito dall’avvocato Andrea Di Croce) aveva chiesto scusa alla famiglia, assistita dagli avvocati Piccolino e Alberto Scerbo, «per il dolore arrecato».

Poi era iniziata una battaglia di perizie. Cruciale quella psichiatrica: diverse le incongruenze rilevate tra la relazione della psicologa del carcere di Cassino e la perizia della consulente tecnica del Tribunale. Quindi la valutazione finale: Rossi sarebbe stato ritenuto capace di intendere e volere quando il 29 maggio varcò la porta dello studio del suo avvocato facendo fuoco. Si saprà dopo circa due settimane il motivo del delitto: un procedimento civile in cui Piccolino era l’avvocato della controparte di Rossi, per un immobile sull’isola di Ventotene.

«Sicuramente ricorreremo in appello. Ritengo che nella perizia psichiatrica, fondamentale per l’intero processo, vi siano troppe lacune - ha commentato a caldo l’avvocato del reo confesso, Andrea Di Croce - Diciotto i colloqui con la psicologa del carcere, a fronte di tre o quattro con la psichiatra (perito del tribunale) che avrebbero attestato le sue patologie».

«Attendiamo le motivazioni. Poi valuteremo congiuntamente al pm cosa fare. Le sentenze -ha dichiarato l’avvocato Alberto Scerbo, in rappresentanza della famiglia - si leggono, si condividono e si sollecitano per l’appello. Siamo sereni per lo svolgimento del processo».

Il fratello della vittima chiede pene più severe

«Non conosco i termini di legge. Ma parlo da un punto di vista umano. Ho l’impressione che una sentenza di questo tipo rappresenti una sorta di “autorizzazione” ad uccidere un avvocato nel suo studio, durante il suo lavoro, se non si è contenti di come siano andate le cose. Mi sembra, da questo punto di vista, una cosa mostruosa. Tenendo anche presente che la Giustizia fra dieci, ma anche fra cinque anni possa concedere dei benefici in grado di ridurre o attenuare la misura. E questa è una considerazione che mi rattrista molto».

A parlare subito dopo la sentenza di primo grado, con grande compostezza, è stato Marco Piccolino, fratello del legale di Selvacava ucciso nel suo studio di Formia il 29 maggio dello scorso anno. «Credo che la legge, soprattutto quando parliamo di vicende legate a una efferatezza estrema, debba rappresentare un vero deterrente. E mi pare che in questo caso - ha concluso il fratello di Mario Piccolino - non abbia assolto questa funzione». Rigettata la richiesta da parte della difesa di una provvisionale, ora il danno dovrà ovviamente essere quantificato in separata sede. Attese le motivazioni previste fra 90 giorni.