La ricostruzione della mattanza in 17 punti chiave, delimitando due zone precise: quella “uno”, dove vennero trovati i corpi delle vittime. E quella numero due, dove erano parcheggiati i mezzi all’interno della cava.

Sono queste le direttrici su cui ieri mattina l’esperto di balistica, consulente di parte di civile, ha raccontato lo stato dei luoghi e le fasi della terribile notte in cui trovarono la morte i due imprenditori di Santi Cosma e Damiano, Pino e Amilcare Mattei, nella loro cava di Coreno.

Nel racconto del dottor Martino Farneti un indubbio elemento di novità: le ferite sulla testa di Amilcare sarebbero compatibili con un colpo inferto da un calcio di pistola e non dall’impatto col suolo. Il che implicherebbe che prima della morte Amilcare abbia lottato con il suo assassino. Un corpo a corpo finito nel peggiore dei modi.

Il proiettore

Dopo aver ascoltato un operaio della ditta dei Mattei (che ha confermato i continui danneggiamenti e furti di benzina) la Cortesi è immersa nella ricostruzione effettuata dal dottor Farneti - consulente di parte civile rappresentata dall’avvocato Ranaldi - attraverso l’ausilio di un proiettore. Grazie alle immagini e alle indicazioni tecniche esposte con dovizia di particolari, senza risparmiare alcun dettaglio neppure sui cadaveri e sui fori presenti sulle salme, il consulente ha offerto una interessante chiave di lettura di quanto accaduto nella cava, riproponendo il percorso dei fratelli Mattei in quella notte piovosa. A partire dall’arrivo del messaggio sul cellulare delle vittime da parte della foto trappola: era circa mezzanotte e mezza quando viene lanciato l’allarme dell’ennesimo furto. E i due imprenditori lasciano le rispettive mogli e le loro abitazioni dove, purtroppo, non faranno più ritorno.

La ricostruzione

La prima analisi del consulente ha riguardato l’area dove si sono sviluppati i fatti: una zona impervia, impraticabile per i non addetti ai lavori. Resa ancor più difficile dalla pioggia battente. E buia, tanto che le due piccole torce nelle mani delle vittime «avrebbero potuto illuminare al massimo i loro piedi». Ma il ladro di carburante - un uomo incappucciato, immortalato dalla fotocellula ad infrarossi-potrebbe aver notato le due torce? Se è infatti vero, per il perito, che i fari del fuoristrada non fossero visibili dalla zona dove erano parcheggiati gli escavatori, le torce potrebbero essere state notate.

«Di certo- ha spiegato il consulente attraverso le simulazioni - il rumore del fuoristrada sulle brecce prima della zona “uno” (quella della mattanza) doveva essere udibile con chiarezza. Anzi, amplificato dal silenzio della notte». Per il dottor Farneti i due fratelli sarebbero scesi nella zona “due” (dei mezzi) esplodendo 18 colpi: 15 Amilcare - forse in aria - e 3 Pino. Poi Pino sarebbe risalito per primo in cerca del “colpevole”, mentre suo fratello avrebbe ricaricato il caricatore.

Ad Amilcare sarebbe restato il tempo di ascoltare il fragore dei colpi prima di raggiungere il punto esatto dove si è consumato il duplice delitto. Una colluttazione brutale, senza sapere se suo fratello fosse invita, raccontata da quella ferita alla testa che parlerebbe del colpo di un calcio di pistola, compatibile con quella del Di Bello. Quindi il silenzio. Poi l’amara scoperta dei militari: i tre corpi a terra, quelli dei fratelli ormai senza vita, freddati da due soli proiettili al cuore.

Il rinvenimento dei bossoli, così come l’analisi delle pietre - che parlerebbero di come siano stati esplosi i colpi - non riesce a spiegare fino in fondo cosa sia accaduto. Se fosse stato proprio il Di Bello quel ladro scoperto accanto ai mezzi, perchè non trovare possibili vie di fuga (diverse quelle indicate dal consulente) in una zona che ben conosceva? Perchè rischiare la vita? Ascoltato poi il consulente medico (il dottor Oliva) che si è soffermato sulle traiettorie delle pallottole in base ai fori analizzati sui corpi, si torna in aula il prossimo 4 aprile. Forse a parlare potrebbe essere lo stesso Di Bello assistito dagli avvocati Colacicco e Mignanelli.