Secondo appuntamento con Massimo Cardillo, storico del cinema. Con lui, oggi, torniamo indietro al 1961 per parlare di un documentario che compare nel programma Cronache italiane. È “Il pianto delle zitelle” di Giovanni Salvi ed Emmanuele Milano, uno dei nomi che faranno la storia della Tv in Italia. Il documentario mostra vicoli antichi di storia e di sacrificio, mentre il commento parla di “contadini, pastori, mulattieri”. A Vallepietra, due volte l’anno, i vicoli si riempivano di gente fino all’inverosimile per la festa della Santissima Trinità sul monte Autore che svetta tra i Simbruini.

Professor Cardillo davanti a cosa ci troviamo esattamente?

«Si tratta di immagini in cui la pellicola in bianco e nero diventa antropologia, diventa mezzo per guardare, per indagare con occhio diverso una storia diversa, quella di un’Italia di cui oggi non rimane traccia, ma che è nel nostro Dna».
Il sonoro parla di pellegrini che vengono dal Lazio, dalla Campania e dall’Abruzzo salendo dai versanti di Subiaco e Cappadocia.
«C’è una straordinaria inquadratura dal basso in cui tra gli steli d’erba spunta a tutto schermo, come una marea, l’onda mistica dei pellegrini in cammino, come in un’alba di redenzione».

Cori e voci fuori campo, inquadrature laterali a figura intera. Lo spettatore diventa pellegrino anche lui?

«Le donne in nero sono il lutto della storia, dell’essere umano, Cristo Uomo, il lutto della pietà e della espiazione. Sono vicine a una croce mentre la fila interminabile si snoda, come una ferita, super la montagna in una strada dice lo speaker - scritta nella memoria. In primo piano gambe e scarpe in marcia nel rumore della fatica, della penitenza e dell’espiazione. E ancora il commento sonoro a rafforzare le immagini, parlando di cammino a piedi per centinaia di chilometri su strade asfaltate, su acciottolato di sentieri, attraverso boschi di faggi. In questa atmosfera la lunga carrellata sulle acque del Simbrivio, metafora di rinnovata purificazione per il pellegrino della Fede».

Volti, sguardi, fede di chi? Degli ultimi?

«Da rimarcare che spesso in questa eccezionale presa diretta si sentono le voci della fede e della devozione: “cantate ‘na filastrocca, una appresso all’altra”. Si tratta di immagini fortissime unite da un sonoro e da un commento che oggi, a quasi sessant’anni di distanza, mette ancora i brividi sia sul versante della fede, sia sotto l’aspetto etnografico-antropologico. Nei volti scavati e negli occhi febbricitanti, la fede ha anche lo sguardo degli umili, dei supposti a tacere, degli emarginati, mentre le strade continuano a snodarsi (ancora una metafora di fede e di peccato?) tra rocce e strapiombi. Le donne anziane, dalle rughe millenarie, recano impresso sul viso il dolore e lo strazio della Madonna».

Nel documentario c’è un particolare spazio dedicato a Ceccano, con intensi primi piani e con la documentazione di una religiosità e di rituali che tagliano e attraversano per secanti trasversali il tempo e lo spazio.

«Tutti gli anni il decano della compagnia di Ceccano ferma con un gesto la sua gente a un chilometro dal paese. Tutti smettono di cantare quasi all’improvviso, mentre il vecchio posa il suo bastone per terra, si libera dei fardelli e si inginocchia. Uno a uno gli passano accanto in silenzio e il vecchio bacia i loro piedi. È un rito particolare della gente di Ceccano celebrato ogni anno a questo punto della strada con il profilo del monte Autore che si vede da lontano».

È un caleidoscopio di emozioni forti, intense. Il santuario, la benedizione della valle da parte del vescovo di Anagni, il pianto delle zitelle.

«La suggestione vocale e quella visiva si fondono mentre i continui primi piani dei volti scavati, come letto di torrenti impetuosi diventano una carrellata dell’umanità dinanzi al dolore e al sacro, dinanzi alla roccia come unica speranza».

Ancora oggi quelle voci e quei volti sono impressi nella memoria dei pellegrini che a piedi,dopo la Pentecoste, si incamminano da ogni dove per raggiungere il santuario alla vigilia della solennità della Trinità. Il pellegrinaggio alla “Santissima” fiacca il corpo,ma galvanizza l’anima con la sua suggestione e attraverso modalità arcaiche e semplici, quelle della fede.