Non ha bisogno di presentazioni. Di lui si sa tutto. Pregi e difetti. Il suo presente da avvocato, il suo passato da sindaco. Impeccabile nel portamento e nel modo di esprimere concetti. Mai volgare anche quando critica gli avversari. E se proprio lo deve fare, usa l'arma dell'ironia. Traendo ispirazione pure dal Gattopardo di Tomasi di Lampedusa.

Snob quanto basta per bacchettare tutti. Specie nel suo partito. Il primo mandato viene ricordato come "Il Rinascimento" di Frosinone. Il secondo, forse anche per quell'anatra zoppa che lo caratterizzò, un fallimento. Difficile intervistarlo. Risponde prima della fine della domanda. La sua città la ama veramente. La vorrebbe come Perugia, dove ha studiato. È Memmo Marzi, due volte primo cittadino di Frosinone. Davanti a un caffè salva solo Renzi, Zingaretti e in parte Ottaviani. Il tribunale è vuoto ma lei è al lavoro.

Ha già ripreso l'attività dopo la pausa esti..? Domandiamo. Ma lui interrompe...
«La prima cosa che dico, prima di parlare di politica, è che pesa veramente la decisione governativa di ridurre le ferie giudiziarie. In realtà si è semplicemente sancito di tagliare il periodo di riposo degli avvocati. L'iniziativa, poco riflettuta, ispirata a qualcosa contro i magistrati, ha colpito i legali. Comunque c'è sempre serenità nel ritorno al lavoro».

Siccome c'è questa serenità, parliamo di politica. Anche se lei al momento è fuori... Seconda domanda e seconda interruzione. Non lo fa per scortesia. Solamente perché è un fiume in piena...
«Fermo restando che ormai sono solo un osservatore attento, la mia attenzione scaturisce dal fatto di essere stato, mio malgrado, protagonista della vita politica di Frosinone. È evidente che quando si è amministrata una città, resti un legame affettivo. Ed è proprio questo che in alcuni casi mi ha permesso di essere assolutamente trasparente».

Scusi, ma in che senso?
«Nel senso che nel 2012, nonostante stessi dall'altra parte della barricata, al secondo turno ritenni che Ottaviani fosse la scelta migliore per la città. E in effetti non mi sembra che si possano muovere grandi appunti al primo cittadino. Salvo forse voler puntualmente demonizzare le amministrazioni che lo hanno preceduto. Questo è il vero limite dell'attuale maggioranza. Ma non tanto del sindaco ma del coro degli accoliti che sono con lui».

Anche Ottaviani è al secondo mandato. Come lei... Terza interruzione...
«Nicola corre il rischio, come è accaduto al sottoscritto, di essere bombardato dal fuoco amico. Ormai si è aperta la successione e i becchini recalcitrano. Se ancora non lo hanno fatto, lo stanno per fare. Mi pare, però, che abbia i numeri per arginare queste ansie di protagonismo».

Cosa si sente di consigliare proprio per non incorrere.... Quarta interruzione. Ma stavolta insistiamo. Quello che è accaduto a lei?
«Io non consiglio nulla perché fa politica prima di me. È stato candidato nel 2015 e, quindi, non mi permetto di suggerire quel che dovrebbe fare. Trasuda dalla sua condotta un impegno per la città. E questo obiettivamente non può che far piacere. Quello che non ho apprezzato sono alcune scelte che probabilmente sono state dettata da un protagonismo personale. Faccio un esempio su tutti: l'allontanamento di Acanfora. Trovo la cosa ingiustificata ed è risibile sostenere che sia stata una decisione assunta dal segretario generale. Questo lo si può raccontare a quanti nell'opinione pubblica possano credere a tali amenità. Il limite dell'Amministrazione è stato quello di non riuscire a dialogare con un dirigente eccellente».

Parliamo del Pd...
«Vorrei ricordare che Veltroni, quando non c'era il Pds, ottenne il 33/34%. Ciò sta a rappresentare che gli italiani erano pronti a votare quel partito ma che bisogna essere un po' più elastici nel creare le alleanze. Si è, invece, ritenuto di realizzare questo Pd, ovvero una fusione a freddo fra aree che erano diverse proprio per radici, che non aveva nulla a che fare con la cultura del Pci e della Democrazia Cristiana. Le radici erano difformi e hanno determinato sempre dei distinguo tra chi era di estrema sinistra e quanti non riuscivano a cogliere i profili positivi che venivano proposti dalla dirigenza. Da ultimo quelli di Renzi».

Ma non è la cosa che si verifica da anni con Scalia e De Angelis?
«Credo che il dualismo tra i due Franceschi sia stato determinato più che altro da un'esigenza di visibilità delle aree. Ritengo che la contrapposizione non sia veramente reale. Sono due ottimi politici che sanno reggere il passo e tradurre la loro presenza in consensi. Certo, però, che quando queste posizioni si occupano da tanto tempo, si creano delle sacche di dissenso che sono animate soprattutto dal protagonismo di sovvertire. La capacità di entrambi dovrebbe essere quella di farsi affiancare da persone che non hanno l'ansia di sostituire e che sanno proporre».

E allora cosa bisogna fare?
«Bisogna che le aree di dissenso capissero che non si può governare il Paese senza il Pd. Mi auguro che Bersani e D'Alema sappiano fare un passo indietro. Anche perché quello di Salvini e della Meloni è un modo di ragionare piuttosto periferico. E non di chi vuole governare l'Italia».

Alla Regione. Si va al rinnovo. Zinga... ? E ci risiamo.
«Credo che Zingaretti sia la persona più adatta per governare la Regione. Sono convinto che abbia la mia stessa idea di coagulare tutto ciò che appartiene storicamente al centrosinistra. Sta anche a lui trovare gli elementi di coesione e di far dimenticare i distinguo».

Anni fa scrissi un fondo in cui sostenevo che per il suo secondo mandato Marzi diceva no, ma Memmo ci pensava e ci ripensava. Lei smentì. Ma alla fine è andata come è andata: il bis...
«Dicevo no perché quell'anno venni operato di ernia al disco e forse sarebbe stato opportuno, in virtù di una successiva ricaduta nel 2003, di restare fermo. La causa fu proprio lo straordinario sforzo di quella consultazione che fu la più difficile di sempre. Non avevo contro solamente Ottaviani, ma un centrodestra fortissimo. Con un centrosinistra che purtroppo a Frosinone non è stato mai forte. Credo sia stata un'esperienza straordinaria e mi auguro ripetibile. Ma non con me. Non sono più attratto dalle competizioni elettorali».

Che fa, si ritira?
«No. Mi piacerebbe dare indirizzi e aiutare a governare processi di cambiamento e di coesione. Se mi si dicesse torna a candidarti, francamente risponderei di no».