Il Tar respinge il ricorso ma Isabella Mastrobuono non demorde. L'ex manager dell'Asl frusinate non ci sta a farsi da parte. La decisione assunta dai giudici amministrativi, a suo avviso, non tiene conto di un diritto sancito dalla Costituzione: il lavoro. Tramite i suoi legali, gli avvocati Francesco Castiello ed Edoardo Giardino, andrà al Consiglio di Stato.

Professoressa, prima la vittoria, adesso la sconfitta. Se lo aspettava?

«Ho il telefono in fiamme. Sono molti i cittadini della provincia di Frosinone che mi hanno chiamato per esprimere la loro solidarietà. Qualcuno mi ha inviato anche i fiori, facendo ingelosire mio marito. La gente lo fa perché sa bene che c'è una sentenza passata in giudicato, e quindi definitiva, non appellata dalla Regione Lazio. Si tratta di una decisione che ha considerato illegittimi il commissariamento della Asl, la mia revoca e la mia cancellazione dall'albo dei direttori generali».

E allora cosa è successo?

«Per un anno ho resistito. Poi, dopo essere stata eliminata dall'elenco dei direttori generali, ho cercato un'occupazione nell'unico settore che mi era permesso: quello privato. Restare a casa, per tutte le persone della mia età, è piuttosto difficile. Ritengo che essere punita per aver lavorato mi sembra davvero un controsenso. Quando Villa Claudia, con coraggio, mi ha offerto il posto da direttore sanitario, ho detto di sì. Dovevo pur vivere. Su questo elemento si è basata la Regione Lazio per dire che non mi reintegrava. Io ritengo che una professionalità come la mia, se non fa nulla nel suo campo, è comunque uno spreco "sanitario"».

Può spiegarsi meglio?

«Il punto è che esiste una legge che vieta per due anni alle persone che lavorano in una struttura privata accreditata di rivestire il ruolo di direttore generale. Ma nel mio caso, come hanno ben evidenziato gli avvocati Castiello e Giardino, non si trattava di una nuova nomina. Inoltre c'era anche un atto illegittimo a monte. Vorrei far notare che io ho accettato quell'incarico per uno stato di necessità. In fondo la Costituzione protegge il diritto al lavoro. Essere punita per questo mi sembra davvero un controsenso».

Ed ora cosa farà?

«Partendo dal presupposto che la legge deve essere interpretata, faccio notare che non tutte le persone che si macchiano di un reato vengono condannate alla pena massima. I giudici del Tar, a mio avviso, dovevano tener conto di quelle che in diritto vengono definite "attenuanti". In altre parole avrebbero dovuto considerare il diritto superiore a garantirsi un sostentamento. Ma, stranamente, non lo hanno fatto. Così come si sono dimenticati delle 18 mensilità. Insomma non mi sembra che ci sia stata, a differenza di quanto evidenzia la nostra magna carta, un'equità di giudizio. Assurdo pure sostenere che non posso essere reintegrata per il mio ruolo di direttore sanitario a Villa Claudia. Adducendo che ci sia una sorta di concorrenza con la Asl di Frosinone, distante ben 240 chilometri tra andata e ritorno. Mi chiedo, e chiedo, quante persone della Ciociaria avrei potuto convincere a farsi l'esame delle urine o un'ecografia in una struttura che ha un budget per tale servizio di appena ventottomila euro?».

La sua battaglia finisce qui?

«Rispetto la sentenza. Ma dato che la legge lo consente, mi rivolgerò al Consiglio di Stato. I miei legali, infatti, sono rimasti davvero sbigottiti per quanto stabilito. Continueremo a lottare e siamo certi che alla fine la giustizia trionferà. Questo è solo uno stop. Anche perché se precedentemente abbiamo vinto un motivo ci sarà. Vado avanti anche per le sedicimila persone della provincia di Frosinone che hanno manifestato la loro solidarietà, attraverso lettere o sul mio profilo Facebook».

C'è qualcosa che si riprovera?

«Nel periodo in cui sono stata a Frosinone ho pensato ad aprire le Case della Salute, le Rems e il Centro Alzheimer. E tanti altri progetti. Forse, invece di tutelare la salute dei cittadini, avrei dovuto pensare di più alla "diplomazia". Ma non è nel mio stile».