Il contrordine è arrivato forte e chiaro dall'interno della maggioranza parlamentare di centrodestra: la riforma delle Province può attendere. Nel senso che il ritorno all'elezione diretta di presidente e consiglieri non ci sarà prima del 2025. Questione di mancanza di fondi. Ma forse anche di volontà politica. Fatto sta che in commissione Affari costituzionali al Senato (dove si sta analizzando il disegno di legge) la discussione è stata aggiornata a data da destinarsi. Dicevamo dei costi: la forbice delle previsioni oscilla tra i 200-300 milioni e un miliardo di euro all'anno. Bisogna considerare il ritorno alle indennità per il presidente e per gli assessori, i gettoni di presenza per i consiglieri e, soprattutto, le spese derivanti dalle competenze e dalle funzioni che dovrebbero essere restituiti dalle Regioni alle Province.
Poi naturalmente c'è l'aspetto della volontà politica. Il superamento della Delrio è una priorità della Lega: Matteo Salvini e Roberto Calderoli lo hanno detto chiaramente. Mentre dalle mosse effettuate negli ultimi giorni la posizione di Fratelli d'Italia si sarebbe raffreddata. La circostanza che il ministro dell'economia Giancarlo Giorgetti debba varare una manovra complicata per le poche risorse a disposizione è sicuramente importante. Sullo sfondo però restano le differenti linee di Fratelli d'Italia e Lega. Inoltre c'è da considerare che la campagna elettorale per le europee e le comunali sarà durissima. E probabilmente nel centrodestra c'è pure chi non intende prestare il fianco a critiche sulla reintroduzione delle Province con l'assetto antecedente alla Delrio.
Un aumento dei costi potrebbe determinare le critiche del Movimento Cinque Stelle. Dicevamo della posizione del Carroccio. Matteo Salvini aveva detto nelle scorse settimane: «Le Province servono per scuole e strade ed è una battaglia che spero di portare al successo. Bisogna tornare all'elezione diretta, con le competenze, la scelta diretta dei cittadini e i soldi perché altrimenti strade provinciali e scuole superiori, che devono essere gestite dalle Province, senza soldi e senza personale non hanno manutenzione».
A questo punto bisognerà vedere quali saranno le dinamiche del confronto interno alla maggioranza.
In ogni caso se resterà in vigore la Delrio, a dicembre si dovrà votare per i dodici consiglieri provinciali. E siccome a votare sono i sindaci e i consiglieri dei 91 Comuni, è chiaro che le elezioni rappresenteranno un test specialmente per le classi dirigenti dei partiti. Mentre per il presidente Luca Di Stefano l'appuntamento sarà fondamentale per capire come potranno cambiare gli assetti dell'aula.
Il disegno di legge unificato per la riforma prevede che per indossare la fascia di presidente della Provincia occorrerà almeno il 40% dei voti validi. Se nessuno dei candidati dovesse raggiungere tale soglia, allora si procederebbe con il ballottaggio. Riguardo alle competenze dell'ente, queste le più importanti: pianificazione territoriale, organizzazione dei servizi pubblici, trasporti, sviluppo economico, digitalizzazione, assistenza tecnico-amministrativa agli enti locali, programmazione scolastica, edilizia scolastica, pari opportunità, controllo dei fenomeni discriminatori in ambito lavorativo. È importante precisare che l'iniziativa è parlamentare, non governativa.
Il presidente della Provincia, eletto quindi a suffragio universale, dovrà nominare le giunte. Il numero degli assessori in una Provincia fino a 500.000 abitanti (come quella di Frosinone) è di 4. Ad uno degli assessori dovrà essere assegnata la delega di vicepresidente. Nella composizione dell'esecutivo nessuno dei due sessi potrà essere rappresentato in misura inferiore al 40%. Per quanto riguarda invece i consiglieri, in una Provincia fino a 500.000 abitanti ne saranno eletti 20. La durata del mandato, sia per il presidente che per i consiglieri, sarà di 5 anni. Tra i ruoli di assessore e di consigliere è prevista l'incompatibilità, ma ci sarebbe un meccanismo di "sospensione" dal ruolo di consigliere nel caso di incarico in giunta. Proprio per poter tornare alla prima carica nel caso di revoca della nomina ad assessore o di dimissioni. Nel frattempo in aula entrerebbe il primo dei non eletti. Previsto un premio di maggioranza del 60% per il presidente eletto. Sembrava tutto pronto per il ribaltone annunciato: a votare tornano i cittadini. Invece sembra che il ribaltone si sia ribaltato. Non cambia nulla fino al 2025. Almeno.