Cresce l'ottimismo nelle file della maggioranza parlamentare di centrodestra per reintrodurre in tempi rapidi l'elezione diretta del presidente e dei consiglieri provinciali. Da oltre tre mesi in commissione affari costituzionali al Senato si sta lavorando ad un testo che archivi definitivamente la riforma Delrio del 2014. L'obiettivo è arrivare all'election day del 9 giugno 2024: europee, comunali e provinciali. A metà agosto l'accelerazione del vicepremier e leader della Lega Matteo Salvini.

Il primo articolo del testo della proposta di legge in discussione presso la commissione di Palazzo Madama recita: «Le Province e le Città metropolitane sono enti rappresentativi delle rispettive comunità, ne curano gli interessi e ne promuovono e coordinano lo sviluppo, ciascuno in base alle rispettive competenze e specificità». Dal 2014, per effetto proprio della Delrio, presidente e consiglieri della Province vengono eletti dai sindaci e dagli amministratori comunali con il meccanismo del voto ponderato. Vero che bisognerà fare i conti (letteralmente) con i grandi numeri della Manovra economica, ma esiste una volontà politica diffusa e trasversale.

Secondo alcune rilevazioni effettuate nelle scorse settimane dal Ministero dell'Interno, per quanto riguarda il ritorno all'elezione diretta di presidenti e consiglieri provinciali (e di sindaci e consiglieri metropolitani), i costi oscillerebbero tra i 230 e i 300 milioni di euro. Una cifra che dunque potrebbe essere sostenibile. L'ipotesi del ripristino dell'elezione diretta prevede altresì il rinvio a una delega esercitabile entro diciotto mesi per la definizione delle funzioni delle Province e il conseguente trasferimento di risorse.

A votare tornerebbero i cittadini e quindi la Provincia non sarebbe più un ente di secondo livello (dal 2014 alle urne si recano gli addetti ai lavori, sindaci e consiglieri dei 91 Comuni attraverso il sistema del voto ponderato). Il disegno di legge unificato prevede che per indossare la fascia di presidente della Provincia occorrerà almeno il 40% dei voti validi. Se nessuno dei candidati dovesse raggiungere tale soglia, allora si procederebbe con il ballottaggio. Riguardo alle competenze dell'ente, queste le più importanti: pianificazione territoriale, organizzazione dei servizi pubblici, trasporti, sviluppo economico, digitalizzazione, assistenza tecnico-amministrativa agli enti locali, programmazione scolastica, edilizia scolastica, pari opportunità, controllo dei fenomeni discriminatori in ambito lavorativo.

È importante precisare che l'iniziativa è parlamentare, non governativa. Il presidente della Provincia, eletto quindi a suffragio universale, dovrà nominare le giunte. Il numero degli assessori in una Provincia fino a 500.000 abitanti (come quella di Frosinone) è di 4. Ad uno degli assessori dovrà essere assegnata la delega di vicepresidente. Nella composizione dell'esecutivo nessuno dei due sessi potrà essere rappresentato in misura inferiore al 40%. Per quanto riguarda invece i consiglieri, in una Provincia fino a 500.000 abitanti ne saranno eletti 20. La durata del mandato, sia per il presidente che per i consiglieri, sarà di 5 anni.

Tra i ruoli di assessore e di consigliere è prevista l'incompatibilità, ma ci sarebbe un meccanismo di "sospensione" dal ruolo di consigliere nel caso di incarico in giunta. Proprio per poter tornare alla prima carica nel caso di revoca della nomina ad assessore o di dimissioni. Nel frattempo in aula entrerebbe il primo dei non eletti. Previsto un premio di maggioranza del 60% per il presidente eletto. Le prossime settimane saranno decisive. Secondo la Delrio a dicembre si dovrebbe votare per il rinnovo dei consiglieri. Ma è evidente che il ritorno all'elezione diretta cambierebbe completamente il quadro. Soprattutto politico.