Confermata a valanga nel ruolo di consigliera regionale nel giorno della sconfitta del centrosinistra. Con il Pd provinciale che ha ottenuto il risultato più alto nel Lazio. Grazie ad una lista fortemente competitiva, anche se non sono mancate critiche durissime da parte di Antonio Pompeo. Ma Sara Battisti guarda avanti e lo fa mettendo al centro di ogni ragionamento il partito.

Allora Battisti, una grande affermazione, arrivata però all'interno di una pesante sconfitta dopo dieci anni di governo di centrosinistra. Cosa non ha funzionato?
«La sconfitta è stata evidente, non possiamo nasconderci. Valuto anche la percentuale impressionante di astensionismo come l'incapacità di trasmettere all'esterno quanto fatto, perché io rivendico con forza il lavoro dei dieci anni di Amministrazione Zingaretti. Rivendico i risultati sulle politiche sociali, sul sostegno ai giovani, alle imprese, sulla mobilità e sui trasporti, sulla riorganizzazione del sistema sanitario, supporto ai settori produttivi del turismo e della cultura. È chiaro, però, e arrivo ad una seconda causa, che non riuscendo a costruire alleanze chiare, presentandoci agli elettori con schemi diversi, penso alle differenti coalizioni nel Lazio e in Lombardia, non mandiamo all'esterno messaggi comprensibili al nostro popolo. È per questo che continuo a ripetere che il Pd ha assolutamente bisogno di un nuovo segretario autorevole e di un gruppo dirigente che sappia guidare la rigenerazione del nostro partito. Dalle regionali emerge un dato inequivocabile: senza il Pd non esiste alcuna alternativa credibile alle destre e le percentuali del Terzo Polo e del Movimento Cinque Stelle sono lì a dimostrarlo. Il Pd è perno centrale. Per me il principio di partenza è sempre lo stesso: riconoscere diritti sociali a tutte quelle persone che stanno pagando un prezzo altissimo in questa lunga fase di crisi».

È mancato il sostegno ad Alessio D'Amato?
«Il Pd è arrivato all'appuntamento elettorale con una lacerazione interna molto evidente. Il lavoro del partito del Lazio doveva essere corale a sostegno di Alessio D'Amato. A Frosinone, invece, dove il Pd ha sfiorato il 23% ed ha raggiunto il miglior risultato del Lazio, il segretario Fantini e tutto il gruppo dirigente hanno avuto quel coraggio che altrove forse è mancato. Quando si ha una battaglia così importante da vincere non si può temere la competizione interna, anzi bisogna favorirla con la costruzione di una lista forte proprio perché può ottenere consenso. Questa credo sia stata la più grande vittoria della segreteria provinciale, perché il mio risultato, quello di Antonio Pompeo, di Annalisa Paliotta, Alessandra Cecilia, Andrea Querqui e Libero Mazzaroppi hanno portato un valore aggiunto al Pd».

Da Pompeo però non sono mancate critiche (per usare un eufemismo) anche alla segreteria provinciale.
«Il segretario Fantini non si è piegato ad una logica di parte, ha partecipato a tutte le iniziative alle quali è stato invitato. Parlare di un "partito che non mi ha sostenuto", come ha fatto Antonio, non lo ritengo corretto. Così come descriverlo come "apparato" dando un'accezione negativa al termine, mi pare poco rispettoso. Nel Pd ci sono iscritti, militanti e dirigenti che lavorano, studiano, sono dei professionisti nei loro settori e prestano un servizio volontario alla nostra comunità e personalmente non smetterò mai di ringraziarli. Ci si sente estranei, forse, anche in base a come si interagisce con il proprio partito: da presidente della Provincia Pompeo, in otto anni, non ha mai discusso con nessuno all'interno del Pd di quale fosse la linea amministrativa in un ente così importante, non si è mai preoccupato di capire come portare avanti in maniera condivisa gli obiettivi politici dei nostri iscritti e militanti. Questo spero lo porti a riflettere sul fatto che il Pd non può essere utilizzato solo quando si è candidati, ma ci si deve sentire responsabili delle esigenze della nostra comunità politica ogni giorno».

Lei è stata la punta di diamante di Pensare Democratico, ma il numero di preferenze dimostra anche un radicamento che va oltre il partito. O no?
«In questi cinque anni da consigliera regionale la collaborazione con gli amministratori, le associazioni, le imprese, il terzo settore, i corpi intermedi, con i cittadini, è stata costante. Ho parlato con tutti, senza fare false promesse ma cercando di risolvere i problemi che mi venivano posti. Tornando al punto precedente, sottolineo che non ho mai smesso di parlare con il mio partito e discutere delle scelte più significative da portare avanti. Sono da sempre nel Pd, ci sono oggi da consigliera regionale e ci sarò domani, anche quando magari smetterò di avere un incarico istituzionale e di dirigente perché questa è la mia casa. I ringraziamenti e tutto ciò che farò per il Pd non saranno mai abbastanza per restituire alla mia comunità tutto ciò che ha fatto per me».

Senta Battisti, le regionali sono arrivate al termine di un periodo personale per nulla semplice. Con la riconferma si è tolta un peso?
«Sono stati sei mesi molto faticosi, il modo con il quale alcuni mi hanno attaccato, descrivendomi anche per quello che non sono, ha fatto sicuramente male. Ho fatto la gavetta vera, da giovanissima mi sono avvicinata alla politica per passione e quindi essere stata definita solo ed esclusivamente la "compagna di" o "la eletta da" mi ha profondamente ferito. Mi ha ferito che ci abbiano descritto per quello che non siamo. Mi ha ferito che quella narrazione non abbia tenuto conto delle nostre vite personali, delle nostre famiglie, dei nostri amici. La soddisfazione più bella, nonostante la pesante sconfitta, è rappresentata dai 17.401 elettori che hanno scritto il mio cognome e forse lo hanno fatto anche perché volevano, insieme a me, un po' riscattare l'immagine di questa comunità, che è una comunità di persone perbene e oneste».

Perché sta con Bonaccini?
«Voto Bonaccini per un motivo semplice: desidero una sinistra popolare che non si fermi agli enunciati di principio ma che torni nelle piazze per chiedere a gran voce sostegno alle categorie più fragili e politiche eque e giuste. Basta con un partito piegato su sé stesso, che parla di sé stesso, che lavora solo per affermare al proprio interno una presunta supremazia di una componente sull'altra. Nella mia esperienza amministrativa ho constatato quanto sia fondamentale mantenere un rapporto costante con le persone che vivono i problemi di una quotidianità sempre più soffocante, ma la sensazione è che parte del gruppo dirigente che ha governato il partito negli ultimi 10 anni e ha avuto ruoli anche governativi non abbia avuto questa capacità e ora dovrebbe sedersi in panchina e dare una mano senza pretendere di essere sempre in campo. Mi riconosco poi molto nella storia umana e politica di Stefano. Le radici sono sempre importanti. Viene da una famiglia umile, ha militato nel Pci prima, nei Ds e nel Pd, ha fatto e continua a fare l'amministratore con risultati eccellenti».