«La serietà è testimoniata sia da una classe dirigente radicata e preparata, sia dal fatto che il nostro è stato l'unico grande partito che ha sostenuto con lealtà il Governo Draghi. Al contrario degli altri che lo hanno affossato». Così Enrico Letta, segretario nazionale del Partito Democratico, spiega perché «gli italiani dovrebbero votare Pd». A tre giorni dal voto il momento è delicato. Dice Enrico Letta: «Dobbiamo convincere gli indecisi e far capire agli italiani, per esempio, che oggi il concetto di europeismo coincide con quello di patriottismo». Rileva: «Lo dico perché concetti come credibilità e reputazione internazionale sono patriottismo. Francamente non credo che la difesa della patria passi da slogan legati al sovranismo e al nazionalismo. Passa invece dalla capacità di stare in Europa». Poi ci sono le tematiche di carattere locale, ugualmente importanti. E le province di Latina e Frosinone non fanno eccezione. Abbiamo intervistato Enrico Letta.

Quello del 25 settembre sarà davvero il voto più importante della storia repubblicana recente? E perché?
«Confermo: sarà un voto spartiacque. Lo sarà per le sfide che l'Italia ha di fronte e sulle quali c'è il rischio, in caso di vittoria della destra, di gravi arretramenti. Parliamo di questioni dirimenti come il ruolo dell'Italia in Europa, come la protezione sociale in una fase di grave aumento delle diseguaglianze, come i diritti, a cominciare da quelli delle donne, come la crisi climatica. Il mio non è allarmismo: possiamo oggettivamente tornare indietro di decenni. Non ce lo possiamo permettere e dobbiamo usare questi ultimi giorni di campagna elettorale per scongiurare questo esito».

Se vincerà il centrodestra a trazione Fratelli d'Italia cosa cambierà davvero? Lei da settimane evoca scenari non proprio rassicuranti: solo strategia o c'è di più?
«Lei parla di "centrodestra", ma io il centro proprio non lo vedo, vedo solo la destra. Una destra estrema, nazionalista e populista. Basta leggere lo scarno programma che hanno presentato e le dichiarazioni quotidiane di Meloni, Salvini e Berlusconi. Cosa c'è di rassicurante nel mettere in discussione il Pnrr rischiando di perdere miliardi di finanziamenti a fondo perduto e prestiti dall'Europa? È uno scenario roseo il modello "Dio, patria e famiglia" che vogliono imporre? E le ambiguità sui vaccini? E gli ammiccamenti a Putin? Potrei continuare, ma credo che il senso sia chiaro».

Giorgia Meloni dice che il Pd è ossessionato da lei, che ha fatto una campagna elettorale esclusivamente "contro".
«A destra si tende a indulgere nel vittimismo, non è una novità. Sa da cosa è ossessionato il Pd? Dal trovare soluzioni alla crisi energetica, al caro bollette e alla situazione sociale. Quindi invece di parlare di Meloni, ecco le nostre proposte sull'emergenza numero uno per cittadini e imprese, le bollette. Serve il tetto europeo al prezzo del gas e il lavoro che sta facendo la Commissione Europea va in questa direzione. Ho incontrato pochi giorni fa il cancelliere tedesco Scholz e sono stato rassicurato sul fatto che anche la Germania vuole arrivare a una soluzione comune europea. In questo contesto il consiglio Ue del 30 settembre rappresenta un appuntamento decisivo. Ma anche a livello nazionale si possono mettere in campo misure immediate come la nostra proposta di una "bolletta luce sociale", totalmente da fonti rinnovabili, che fornisca metà della fornitura a costo zero alle famiglie a reddito medio e basso e alle microimprese. Imprese a cui raddoppieremo gli incentivi fiscali che già oggi ricevono per compensare gli extra-costi energetici».

Il Campo Largo è franato subito. Con questa legge elettorale non era preferibile un minimo di realpolitik e allearsi con i Cinque Stelle e con il Terzo Polo? O perlomeno con una delle due forze? Più volte lei ha sottolineato le scelte di Conte e Calenda. Ma davvero non c'erano spazi?
«Con Calenda avevamo un patto, lui lo ha stracciato in televisione con motivazioni bizzarre. Emma Bonino ha definito la sua scelta "una giravolta immotivata", è una buona sintesi. Per quanto riguarda Conte, ha contribuito a far cadere il governo Draghi in un momento in cui stava lavorando a importanti misure su lavoro e bollette. Una scelta irresponsabile politicamente. Poi in Sicilia, dopo che oltre trentamila persone avevano partecipato alle primarie, ha fatto saltare l'alleanza. Saranno anche divisi su tutto Conte e Calenda, ma sui fondamentali sembrano gemelli: inaffidabili, poco seri sul piano politico, trasformisti».

La stagione dei Governi tecnici e di unità nazionale è finita? Il Pd saprà davvero rassegnarsi a cinque anni di opposizione nel caso di sconfitta elettorale? Lei è stato chiaro: stavolta non faremo la protezione civile…
«Questa pessima legge elettorale è iper maggioritaria. Se a ciò si aggiunge il taglio dei parlamentari, è facile capire che chi vincerà, lo farà con una maggioranza netta. In campo ci sono solo due coalizioni: il centrosinistra e la destra. Quanto al futuro, il Pd in molte circostanze si è assunto la responsabilità di governare in nome dell'unità nazionale. Ciò ha alimentato una percezione ingenerosa di partito dell'establishment. Noi non siamo più da tempo il partito del potere e non saremo la protezione civile della politica».

Nel caso di sconfitta ha messo in conto di poter lasciare la segreteria nazionale del partito? Quali potrebbero essere gli scenari?
«Guardi, a una manciata di giorni dalle elezioni non c'è da disegnare nessuno scenario. Sono il segretario di un partito che vuole vincere le elezioni e non consegnare il paese a una destra reazionaria. Meloni, Berlusconi e addirittura Tremonti, che hanno ricandidato, sono gli stessi esponenti di governo che nel 2011 hanno portato il Paese sull'orlo della bancarotta. Evitare un nuovo 2011: la nostra missione è questa adesso».

Le correnti sono una ricchezza o un cancro del partito?
«Il Pd è l'unico grande partito nazionale in Italia con una democrazia interna forte e disciplinata da regole che vengono votate e approvate, così come tutte le decisioni che è chiamato ad assumere. Non è un partito personalistico con un capo che decide tutto, dalla linea politica alle liste. Gli altri sono tutti così. Aggiungo che oggi il Pd è un partito lontano da quello lacerato del 2018. Un partito che, quando sono tornato, mi sono posto l'obiettivo di tenere unito e l'obiettivo è stato raggiunto. Oggi c'è una grande mobilitazione e uno sforzo comune per dare un futuro progressista all'Italia e non derive che ci metterebbero dalla parte sbagliata dell'Europa».

Matteo Renzi, Carlo Calenda, Giuseppe Conte: chi getta dalla torre? Ne può salvare solo uno. E le motivazioni sono obbligatorie.
«Di Calenda e Conte ho già detto, dalla torre si sono lanciati da soli. Renzi è Renzi. Quanto vale la sua parola sul piano politico?».

Ma nel caso di uno scenario di "non vittoria" (simile a quello del 2013), lei direbbe davvero no ad un'ipotesi di Governo sostenuto da Fratelli d'Italia e Pd?
«Sì, direi no. Punto».

Dopo le politiche si voterà per le regionali del Lazio. Chi preferisce come candidato tra Enrico Gasbarra, Daniele Leodori e Alessio D'Amato? O magari Marianna Madia?
«Abbiamo profili di qualità adatti a una regione importante come il Lazio. Siamo un partito ricco di personalità radicate sui territori pronte a raccogliere l'eredità di un presidente che ha fatto un ottimo lavoro come Nicola Zingaretti. Questa è la differenza tra noi e la destra, che in prima battuta ripropone sempre gli stessi nomi, come quello di Bertolaso e poi magari candida Michetti. Ma ne parleremo dopo il 25 settembre, ora siamo tutti concentrati sulle elezioni politiche».

Il problema principale che limita lo sviluppo della Ciociaria è la mancata bonifica della Valle del Sacco e la perimetrazione del Sin. Tante imprese sono andate via. Ma perché un tema del genere non può essere inserito nell'agenda di un Governo nazionale?
«Il punto centrale è trovare un equilibrio tra l'esigenza di garantire lo sviluppo e il lavoro in questo territorio e quella di proteggere l'ambiente e le persone, dopo anni di sversamenti criminali e contaminazioni, che hanno reso la Valle del Sacco il terzo sito più inquinato d'Italia. Ora i passaggi fondamentali sono due: il primo è quello di procedere con la massima velocità nella bonifica del sito. Su questo c'è stata una positiva accelerazione con la nomina del commissario decisa dalla Regione Lazio, per dare attuazione al piano da oltre 50 milioni di euro per la bonifica. L'altro punto decisivo è ottenere presto risultati sulle nuove indagini ambientali, per stabilire gli attuali livelli di inquinamento e, in base alle indicazioni, procedere a una riperimetrazione della zona. Messo in sicurezza il sito e con azioni adeguate per sostenere gli investimenti, lo sviluppo green di questo polo dovrà essere una delle missioni del nuovo Governo».

La Ciociaria ha tassi di disoccupazione da profondo sud. Come si inverte la tendenza?
«Bisogna invertire il segno e raccogliere i segnali positivi che pure esistono, nonostante le grandi difficoltà. Penso ai dati che arrivano ad esempio dalle esportazioni. Ora bisogna favorire lo sviluppo delle imprese e, anche con le risorse del Pnrr, sostenere gli investimenti in grado di favorire la creazione di nuovi posti di lavoro. La Ciociaria è un territorio che esprime eccellenze in settori strategici per il Paese, come l'automotive o la farmaceutica, e ha tutte le caratteristiche per diventare uno dei motori della rinascita italiana. Sull'automotive: Carlos Tavares, Ad di Stellantis, ha ribadito che l'Italia sarà centrale nel percorso verso l'elettrico. Per questa provincia, e in particolare per il polo dell'automotive di Cassino, può essere una grande chance. Bisogna accompagnare questa sfida e sostenere processi di trasformazione della produzione, in particolare proprio la transizione verso l'elettrico. La Regione guidata da Zingaretti sta sostenendo con il Mise investimenti di riposizionamento competitivo delle aziende della filiera dell'automotive. Ora questo processo va rilanciato, anche rafforzando la collaborazione con il mondo della ricerca e delle università. Lo stesso vale sugli altri comparti strategici, a partire dalla farmaceutica, che uno dei principali settori in grado di esaltare le caratteristiche peculiari di questo territorio, o come il settore del turismo, che ha in questa terra di grande bellezza ancora grandi potenzialità».

Con un patrimonio archeologico storico e naturalistico invidiabile la provincia pontina non riesce a competere sul versante del turismo, segno che gli enti locali e la Regione non bastano. Come potrebbe intervenire lo Stato?
«Penso che il tema principale nella collaborazione dello Stato con le Amministrazioni locali, anche per promuovere il turismo, debba essere quello delle connessioni. Ora è il momento di avvicinare territori, città, comunità con reti di trasporto più efficienti e più sostenibili. Riconnettiamo l'Italia, anche per aiutare il turismo. La bellezza di questa provincia potrà diventare una ricchezza e produrre più economia e lavoro, innanzitutto grazie alla realizzazione di opere strategiche per connettere meglio il territorio con un grande attrattore come Roma, con il resto del Lazio e del Paese. Su questo fronte vedo due priorità: innanzitutto realizzare finalmente la Roma-Latina, dopo la svolta positiva dell'accordo tra governo e Regione Lazio sul nuovo progetto green dell'infrastruttura. Poi c'è il bellissimo progetto della Ciclomare, promosso dal presidente Zingaretti. Una ciclovia che percorrerà tutto il litorale del Lazio e che, grazie alla bretella ciclabile Ostia-Colosseo, già programmata dalla Regione, connetterà il sud pontino con Roma. Sarà una delle ciclovie più belle d'Europa, e un'occasione straordinaria per territori a vocazione turistica come il sud pontino».

Il polo farmaceutico pontino avrebbe bisogno di un segno di riconoscimento forte, auspicabilmente associato alla ricerca, ma le multinazionali guardano altrove.
«Abbiamo visto con l'emergenza Covid quanto siano centrali gli investimenti nelle scienze della vita e nel settore farmaceutico. Latina con oltre 6,5 miliardi di euro è la prima provincia italiana per export del settore farmaceutico. Frosinone con 4,2 miliardi di euro è la terza. La missione è costruire attorno a questa eccezionale risorsa un sistema organico in grado di produrre ricchezza, lavoro qualificato e, insieme, dare alle nostre comunità soluzioni per vivere meglio. Perché ciò accada, bisogna fare tre passi fondamentali: il primo è semplificare al massimo le procedure e disboscare la selva burocratica che spesso allontana gli investitori. Il secondo passo è aumentare le risorse per la reindustrializzazione delle arre in crisi, in particolare sostenendo con forza progetti collaborativi di ricerca e sviluppo tra impresa e mondo della ricerca. A questo, è legato il terzo passo: se non colmiamo il gap con altre realtà europee e globali sulla ricerca non ce la potremo mai fare. Fondamentale in questa sfida, anche per il settore farmaceutico, sarà la nascita del Rome Technopole, che realizzeremo con i fondi del Pnrr e che deve coinvolgere anche realtà come la provincia di Latina e le sue aziende: serve all'Italia un grande polo formativo ad elevata attrattività per le aziende, all'avanguardia nei settori strategici come quello delle scienze della vita. Dobbiamo assolutamente dare alle ragazze e ai ragazzi la possibilità di competere nei campi su cui si gioca oggi la competizione globale e alle aziende un terreno fertile su cui indirizzare gli investimenti».