Gli industriali hanno parlato un linguaggio chiaro, la politica si è arrampicata sugli specchi con i soliti annunci e con divergenze talmente clamorose da lasciare increduli. «Quanto successo ad Anagni è emblematico di un Paese non all'altezza», ha detto Angelo Camilli, numero uno di Unindustria. Con riferimento al caso Catalent naturalmente, all'investimento da 100 milioni di dollari dirottato in Inghilterra, insieme a 100 posti di lavoro altamente specializzati. Il tutto per i ritardi di una burocrazia che impiega anni per dare un parere. Quando lo dà.

Ma anche per una perimetrazione del Sin della Valle del Sacco che si è trasformata in un percorso ad ostacoli, insuperabile per le aziende. Per questo gli imprenditori chiedono risposte urgenti, chiare, concrete, definitive. Il presidente della Regione Lazio Nicola Zingaretti ha dato notizia di aver «avviato un'iniziativa direttamente col presidente del consiglio Draghi, il ministro Cingolani e tutto il Governo: la Regione Lazio ha chiesto la sospensione, eccetto per le aree ripariali, del decreto di perimetrazione del Sin del Bacino Valle del Sacco». Poi ha aggiunto: «Un decreto figlio di errori e illusioni che hanno finito, nel tempo, di bloccare tutto. Una sospensiva non per perdere tempo, ma per definire in pochi mesi col territorio un perimetro che garantisca tutela, bonifica e rilancio produttivo. Un equilibrio tra sostenibilità e crescita, come ci chiede l'Europa». Verrebbe da dire meglio tardi che mai.

Però non basta, perché dal territorio e dalle imprese più volte è stato posto in questi anni il tema del Sin Valle del Sacco. Non soltanto le risposte non sono arrivate mai, ma perfino quelle tratteggiate adesso avranno bisogno comunque di alcuni mesi. E in Italia non c'è niente di più definitivo del provvisorio. Per dire che alla fine non cambia mai davvero nulla

Gli equivoci di una politica bizantina
Ma c'è dell'altro perché poche ore dopo l'intervento di Zingaretti, Ilaria Fontana (sottosegretario di Stato alla transizione ecologica del Movimento Cinque Stelle) ha dichiarato: «Per il Mite ad oggi nessuna sospensiva. Se la Regione Lazio ritiene, potrà farsi parte attiva nella richiesta di riperimetrazione del Sin "Bacino fiume Sacco". Non servono colpi di spugna». Concetto opposto a quello di Zingaretti, che aveva appena detto di aver parlato con Draghi e Cingolani. Come possono avere fiducia nella politica gli industriali e tutti coloro che vogliono investire? Peraltro il giorno prima Pd e Cinque Stelle avevano annunciato, magno cum gaudio, l'accordo raggiunto alle comunali di Frosinone. Secondo la linea indicata proprio da Nicola Zingaretti e recepita anche da Ilaria Fontana. Dinamiche che disorientano i cittadini e che alimentano la convinzione di una "politica politicante", immersa perennemente in riti bizantini che nulla portano al territorio. Perché si guarda sempre alle elezioni successive: non solo le comunali quindi, ma pure le regionali e le politiche. Ed è vero che in provincia di Frosinone continuamente ci sono le ingerenze romane, che dettano linee e alleanze scavalcando i livelli locali, che si guardano bene però dall'opporsi a rischio di provocare una frattura. Alla fine l'aspetto politico ha fagocitato tutto il resto. Mentre invece la priorità rimane quella di una riperimetrazione del Sin Valle del Sacco su basi scientifiche e su analisi rapide e puntuali, che tengano conto delle esigenze delle imprese ma anche di quelle dell'ambiente. Si può fare se si bandisce la cultura della fuffa. 

La logica del no a prescindere che blocca lo sviluppo Sempre all'assemblea degli industriali la ministra agli affari regionali Maria Stella Gelmini ha dichiarato: «Non possiamo continuare con la politica del "No", perché il nostro Paese paga i troppi no al tap, ai termovalorizzatori e al nucleare. Tutti questi no ci hanno reso più deboli». Vale anche per il nostro territorio: ogni nuovo insediamento industriale viene visto come qualcosa da scongiurare a tutti i costi. E in tanti confidano nella lentocrazia e nella "caccia al cavillo". Se poi qualcuno parla di rifiuti, scatta una crociata aprioristica senza neppure analizzare il progetto. Fra l'altro nessuno si pone il problema che da oltre un anno questa provincia non ha una propria discarica e che la nostra immondizia viene smaltita altrove. Siamo convinti di essere più furbi degli altri? Non è così. La Ciociaria ha bisogno di programmazione, di insediamenti industriali che portino sviluppo e posti di lavoro. E non è vero che tutto questo non si può fare nei confini del rispetto dell'ambiente, dell'occupazione, della crescita e della legalità. Ma con questa impostazione ogni opportunità si trasforma in una caccia alle streghe. Poi ci meravigliamo se da questo territorio vanno via le aziende ma pure i nostri giovani. Ci meravigliamo se il capoluogo non ha un numero di abitanti tale da poter pesare in qualunque tavolo nazionale, regionale o romano. Il treno della ripartenza può essere agganciato soltanto se si riesce a "scaricare a terra" i progetti che vengono presentati o si palesano all'orizzonte. La cultura del no a tutti i costi non favorisce un approccio costruttivo e un dibattito oggettivo.
Ma non è vero che le responsabilità sono tutte della burocrazia. Non è vero perché la burocrazia risponde agli input politici, alle leggi, ai decreti, ai tempi stabiliti, alle procedure individuate. E la politica, specialmente quella locale, interviene sempre e soltanto dopo che è scoppiata l'ennesima emergenza. Lo fa privilegiando le polemiche, meglio se in campagna elettorale. Non c'è mai il coraggio dell'impopolarità. Sullo sfondo la frase di don Abbondio di fronte al Cardinale Federico Borromeo: «Il coraggio, uno, se non ce l'ha, mica se lo può dare». Già, non se lo può dare.