Per i sostenitori del Sì un numero di 600 parlamentari (400 deputati e 200 senatori) sarebbe in linea con quello delle altre democrazie europee. Tanto più che l'attuale consistenza di Camera e Senato venne stabilita nel 1963, quando ancora non c'erano 800 consiglieri regionali e il Parlamento europeo eletto direttamente. Per i sostenitori del No il taglio di 345 seggi aumenterebbe il numero di abitanti per ogni parlamentare e di conseguenza crescerebbe la distanza tra la popolazione ed i suoi rappresentanti.
E che la rappresentanza democratica dei territori sarebbe penalizzata. Domenica e lunedì si vota e l'esito del referendum avrà un'importanza secondaria sul piano politico.

Secondaria rispetto al risultato delle regionali, su questo non c'è dubbio. Anche se i riflessi sul piano istituzionale, costituzionale e anche degli equilibri politici ci saranno. Sul piano però delle indicazioni dei partiti, bisogna andare oltre il Sì e il No. Perché le fronde ci sono ovunque, soprattutto tra gli addetti ai lavori.

Il Movimento Cinque Stelle
I pentastellati sono quelli che più di tutti hanno voluto il referendum. E Luigi Di Maio ha sostenuto le ragioni del Sì ovunque. Insieme all'intera classe dirigente. La "guerra" alla Casta rappresenta da sempre il punto più importante del Movimento. Ma c'è anche un'altra considerazione da fare. I Cinque Stelle sono tagliati fuori dalle regionali e dalle comunali (tranne pochissime eccezioni). Dal 4 marzo 2018 i Cinque Stelle rimediano sconfitte elettorali e non riescono a conquistare una Regione. La vittoria del Sì al referendum per loro rappresenterebbe un totem da esibire per giustificare la permanenza al governo del Paese nonostante qualunque altra sconfitta sul piano politico. Sono davvero pochissimi gli esponenti del Movimento che voteranno per il no. Andrea Colletti ed Elisa Siragusa per esempio.

Il Partito Democratico
La linea della direzione nazionale, con una maggioranza bulgara, è per il Sì. E il segretario Nicola Zingaretti la porta avanti senza tentennamenti.
Aggiungendo però che poi bisognerà fare altre riforme, a cominciareda quella finalizzata a correggere il bicameralismo perfetto. Però non è un mistero che nel partito in tanti siano per il No. Soprattutto non si può fare finta di nulla se per il No si sono espressi il due volte presidente del consiglio e leader dell'Ulivo Romano Prodi, il fondatore del partito Walter Veltroni.
Ma pure Rosy Bindi o parlamentari in carica come Matteo Orfini e Laura Boldrini. Per non parlare di Gianni Cuperlo.

Ma nei Democrat c'è anche un altro aspetto, quello legato all'accordo con i Cinque Stelle. In tanti chiedono una resa dei conti vera, visto che le scelte del Movimento rischiano seriamentedi far perdere al Pd Regioni come la Puglia, le Marche. E la Toscana.
Ecco perché il combinato disposto tra il risultato delle regionali e quello referendario non potrà non determinare un dibattito all'interno del partito.
Indipendentemente dalla blindatura del Governo (nessuno si dimetterà) e della maggioranza.

La Lega
Il Carroccio è per il Sì dall'inizio, ma il leader Matteo Salvini ha sottolineato che il partito non è una caserma e che non "caverà gli occhi" a chi si orienterà per il No. Nel Carroccio, infatti, in tanti si sono già smarcati: da Giancarlo Giorgetti a Claudio Borghi, da Gian Marco Centinaio ad Attilio Fontana, il Governatore della Lombardia. E molti altri. L'assetto parlamentare è un elemento importante per un partito come la Lega.
Inevitabilmente si gioca anche una partita sul piano interno.

Fratelli d'Italia
Il partito di Giorgia Meloni è per il Sì e la stessa leader lo ha ribadito più volte, aggiungendo anche di essere consapevole che «un eventuale successo del No potrebbe mettere in difficoltà la maggioranza». Naturalmente non mancano le eccezioni, come Guido Crosetto. Ma la sensazione è che tra i dirigenti e gli eletti di Fratelli d'Italia quelli orientati per il No siano più numerosi di quanto non appaia.

Forza Italia
Silvio Berlusconi ha lasciato libertà di coscienza in tempi non sospetti, sapendo perfettamente che la stragrande maggioranza degli "azzurri" è per il No.
Il primo a rompere il fronte è stato Renato Brunetta, seguito da tantissimi altri. Fra i quali c'è pure il senatore e coordinatore regionale del Lazio del partito, Claudio Fazzone.

Gli altri partiti
In Italia Viva Matteo Renzi ha lasciato libertà di coscienza e ha definito la riforma «un tributo alla demagogia». Aggiungendo: «Senza il monocameralismo non cambia nulla». Ma, per esempio, Roberto Giachetti voterà No. Emma Bonino e +Europa voteranno No. Così come Carlo Calenda e Azione.

I numeri
In realtà con il taglio di 345 parlamentari l'Italia diventerebbe il Paese fanalino di coda in Europa per quanto riguarda il rapporto tra numero di cittadini e deputati. Il dato emerge da un dossier di Camera e Senato datato 19 agosto. Lo studio prende in considerazione Montecitorio. Secondo un'elaborazione del 2018, l'Italia contava su un deputato ogni 96.006 abitanti. Vale a dire un deputato ogni 100.000 abitanti.
Con il taglio si arriverà ad un deputato ogni 151.210 abitanti, per un rapporto di 0,7 ogni centomila abitanti.
I padri costituenti ne avevano previsto uno ogni 80.000 abitanti.

Per fare dei raffronti, si va dallo 0,8 della Spagna allo 0,9 di Francia, Germania e Paesi Bassi, al 2,2 del Portogallo. Poi anche il 3,4 della Svezia, fino al 10 del Lussemburgo e al 14,3 di Malta. A dimostrazione che la vittoria dei sì al referendum comporterebbe degli effetti notevoli sul piano della rappresentanza. Anche dei territori. Ci sarebbe un taglio di 230 seggi alla Camera e di 115 al Senato. Ricordiamo che si tratta di un referendum confermativo, per il quale non è previsto il raggiungimento del quorum. Nel Lazio oggi si eleggono 28 senatori. Scenderebbero a 18. Mentre nel collegio Lazio 2 della Camera, si passerebbe da 20 a 12 deputati. Con l'attuale sistema elettorale, i collegi uninominali maggioritari scenderebbero da 348 a 211. Ben 127 in meno.