L'election day si avvicina e la Lega è già proiettata nello scenario futuro, quello di una possibile crisi del Governo giallorosso. Ma la cautela è d'obbligo e l'onorevole Claudio Durigon mantiene i piedi per terra. Prima vuole aspettare i risultati.
Allora Durigon, il centrodestra è pronto alla spallata?
«Sì, ma ho un rammarico».
Quale?
«Il centrodestra si presenta unito in tutta Italia tranne che in provincia di Latina. Questo è successo perché a Terracina Fratelli d'Italia ha individuato un candidato sindaco (che non ha la tessera del partito) che nella sostanza non ha voluto l'alleanza di centrodestra. A Fondi è scattato l'effetto domino. Mi sono impegnato per l'unità, ma non c'è stato nulla da fare».
Una frattura che avrà conseguenze?
«Si è aperta una crepa, questo è certo. Il centrodestra unito è una formula vincente. Sicuramente lavorerò per "recuperare", ma ho la netta sensazione che tutta la classe dirigente del centrodestra pontino dovrà impegnarsi moltissimo. Effettuando diversi e importanti passi avanti. Non è possibile che una coalizione come la nostra si faccia dettare la linea da chi non è neppure iscritto a un partito. Detto questo, la Lega ha presentato ottime candidature e sono convinto che avremo importanti risultati. Peraltro il nostro programma è perfettamente in linea con i valori e le politiche del centrodestra nazionale. Per esempio su una immigrazione controllata. La Lega resta contraria al progetto Sprar».
Il suo "sì" al referendum è convinto o risponde a logiche di partito?
«La Lega ha sempre votato il taglio dei parlamentari. Certo che la riforma, così come è ora, appare monca. Il mio è un "sì" di coerenza».
Ma con 345 seggi in meno e senza una riforma elettorale la rappresentanza dei territori sarà penalizzata.
«Il rischio è concreto, indubbiamente. Perciò sottolineavo che la riforma è monca. Occorre una legge elettorale diversa. Parliamoci chiaro: con i sistemi elettorali di questi anni si governa soltanto con coalizioni grandi e perciò eterogenee. Alla fine non si governa. Occorre un sistema elettorale che abbia un obiettivo: i cittadini devono sapere chi e cosa stanno votando. La governabilità va garantita, perché altrimenti alla fine sarà sempre l'Unione Europea a decidere tutto. E questo non va bene. L'Italia non è un Paese a sovranità limitata».
Sul piano politico la differenza la faranno le regionali. Se il centrodestra vince 4-2 o 5-1 si va alle politiche anticipate?
«La premessa è importante: da un partito come i Cinque Stelle, che da anni parla solo di tagli delle poltrone, ci si aspetterebbero elezioni anticipate anche con il 4-2 per il centrodestra. In ogni caso, con questo tipo di risultato (4-2) le conseguenze sarebbero importanti. Intanto oggi si parte da una situazione di 4-2 per il centrosinistra. Ribaltando questo rapporto, il centrodestra governerebbe 16 Regioni su 20. Vuol dire che il territorio fa le sue scelte, che i cittadini premiano il nostro modello di amministrazione. Per il resto che devo dire? Con un risultato del genere il Governo Conte dovrebbe andare a casa».
Subentrerebbe un Governissimo a guida Mario Draghi?
«Il centrodestra è unito ovunque (con l'unica eccezione della provincia di Latina). Dall'altra parte invece Pd e Cinque Stelle non sono soltanto divisi, ma antagonisti in diversi contesti. Per noi la via maestra rimane quella delle elezioni anticipate. Ma perché in questo Paese si hanno così tanti problemi a dare la parola al popolo sovrano? Gli inciuci non ci interessano, l'Italia ha bisogno di un'inversione di tendenza vera, che può arrivare soltanto da elezioni politiche anticipate».
Senta Durigon, ma voi ci credete allo scenario di un possibile ingresso di Nicola Zingaretti nel Governo? Con conseguenti elezioni anticipate alla Regione Lazio?
«Non lo so. Per noi le cose sono più semplici. Il Lazio avrebbe bisogno di nuove elezioni perché è governato male. Aggiungo che su vicende come quelle delle mascherine e dei camici il centrodestra (qualora fosse stato alla guida della Regione Lazio) sarebbe stato massacrato dalla stampa. Stesso discorso per alcune intercettazioni della vicenda Palamara. Evidentemente noi non godiamo di buona stampa. Detto questo, per quello che mi riguarda Nicola Zingaretti nel Lazio ha fallito sul piano amministrativo e politico.
Lo vedo in grande difficoltà anche come segretario nazionale del Pd. Non trasmette la sensazione di "governare" le diverse correnti del partito. Diciamo le cose come stanno: abbiamo davanti un Governo che si regge sulla base di un'alleanza che non è tale. Pd e Cinque Stelle sono insieme esclusivamente per impedire che il centrodestra vinca le elezioni e governi il Paese. Il Lazio è una "casella" di questo puzzle. In un Paese normale Nicola Zingaretti lascerebbe sia la presidenza della Regione Lazio che la segreteria Democrat».
Ma lei sta già scaldando i motori? Nel senso della candidatura alla presidenza della Regione?
«Guardi, io sono un uomo di partito e tutti sanno che ragiono in questa ottica. La mia disponibilità è sempre legata a quelle che sono le strategie e le necessità del partito. Detto questo, l'Italia si appresta a vivere un momento davvero decisivo. Bisognerà prendere decisioni importanti sul piano economico, su quello internazionale, sulla sanità, sulla scuola, sull'immigrazione. Ne va del futuro delle nuove generazioni e del presente di quelle attuali. Il Governo Conte non è all'altezza, la giunta Zingaretti neppure con riferimento alla nostra regione».