La sua è una storia personale che somiglia all'impresa di un instancabile scalatore e questa sosta al campo base dell'opposizione, dopo una esaltante esperienza di governo, gli sta stretta come le camicie che indossa.
Dal ruolo di braccio destro del Governatore del Lazio Renata Polverini a quello di vicesegretario nazionale dell'Ugl, la marcia in salita di Claudio Durigon si trasforma in uno scatto bruciante nel marzo 2018 quando viene eletto deputato per la Lega di Salvini nel collegio Latina-Frosinone. A giugno dello stesso anno diventa Sottosegretario al Lavoro e alle Politiche sociali, ed è sua la riforma delle pensioni e di quota 100. Veloce, propositivo, sempre entusiasta, adesso Claudio Durigon guarda con un occhio disincantato e grande preoccupazione all'Italia che tenta di rialzarsi dopo la sventola dell'emergenza coronavirus. Tradisce anche una quota sostanziosa di pessimismo; il Conte 2 non gli piace e le misure finora adottate dal governo per affrontare la crisi alimentata da oltre due mesi di lockdown non gli sembrano adeguate né all'altezza del compito, ma soprattutto inadatte rispetto alle difficoltà che si frappongono sulla strada che dovrebbe portare all'obiettivo della ripartenza dell'intero sistema Paese.

Onorevole Durigon, partiamo da domani: cosa dobbiamo aspettarci dal decreto rilancio?
«Purtroppo ci aspetta tanta incertezza. I decreti, anche quelli già convertiti in legge, sono tutti in ritardo, e la denominazione del decreto rilancio è anche fuorviante, direi sbagliata, perché se mettiamo a disposizione 25 o 26 miliardi come forma di ristoro, quello non è un rilancio. La verità dei fatti è che con due distinti decreti abbiamo impegnato 80 miliardi di euro con una visione minima di come far ripartire l'economia, e questo è preoccupante. Draghi ci aveva messo in guardia, sollecitandoci a fare presto, ma questo non è avvenuto. Il nostro sistema economico è paragonabile a un'arteria del nostro corpo, se non mandi sangue si necrotizza e prima o poi devi tagliare. Tremo all'idea di quello che potrà accadere a un settore come quello del turismo, e peggio ancora all'industria, perché stiamo perdendo tutto il nostro appeal sull'export. Per comprendere quello che sta accadendo in Italia, basti pensare che durante l'emergenza covid la Germania ha mantenuto costante il range del consumo di energia, mentre da noi si registra un picco in discesa, segno che ci siamo fermati. E per finire, dobbiamo prepararci a fare i conti con il lavoro: se come previsto scenderemo di 15 punti con il Pil, avremo il problema di migliaia di nuovi disoccupati. E qui non riesco a seguire la logica con cui, parlando di sanatorie per gli irregolari, ci apprestiamo ad ampliare la quota delle persone da avviare al lavoro».
Vuol dire che anziché investire stiamo rischiando di scivolare sull'assistenzialismo?
«In questo momento ci sono circa 1,2 milioni di percettori di reddito di cittadinanza, e la prospettiva è di arrivare a contare circa dieci milioni di poveri. Non ce l'ho con nessuno e non ne faccio una questione ideologica, ma una sanatoria oggi mi sembra una misura improponibile. Bisognava sostenere le aziende per garantire gli stipendi anche nell'agricoltura».
Lo ha detto l'ex ministro Tria in un'intervista rilasciata al nostro giornale: bisogna intervenire sull'emergenza di un sistema produttivo bloccato dal contagio.
«Tria ha ragione. L'Italia difetta di un piano industriale ormai da troppi anni, e in questo tempo i beni che venivano prodotti nel Paese hanno trovato casa all'estero. L'emergenza covid ci ha allontanati ancora di più dal Paese. Direi che la situazione ci sta sfuggendo di mano».

Sappiamo che accumuleremo un grande debito, secondo lei abbiamo gli strumenti per sostenerlo?
«Questa è la preoccupazione più grande. Ai debiti di sostegno si aggiungeranno quelli per investimento, ma nel nostro sistema non è stata immessa la liquidità che serviva per garantire il Paese. La nostra ricetta è che non possiamo essere vincolati a misure imposte dall'Europa; dobbiamo uscire dai vincoli altrimenti non ce la faremo».
Che fa, sta agitando lo spauracchio di un'uscita dall'Europa?
«No, non mi interessa. Dico soltanto che vogliamo la garanzia di poter affrontare i prossimi difficilissimi anni senza i vincoli del rispetto di patti di stabilità che non potremo onorare».
In una crisi anomala come questa valgono le misure generalizzate o sarebbe stato meglio affrontare la situazione caso per caso, settore per settore, tenendo conto di chi è stato più colpito e chi meno?
«Qui il governo ha commesso un grande errore, perché nella fretta di dare risposte non ha saputo distinguere quali erano i settori più a rischio, vedi il turismo e l'export, tanto per ripeterci, e ha scelto la strada degli interventi a pioggia. E inevitabilmente è andata a finire che per cercare di soddisfare tutti siamo riusciti a non accontentare nessuno».

Magari si poteva procedere con la compensazione dei mancati ricavi delle imprese, eventualmente imponendo in cambio il mantenimento dei livelli occupazionali.
«Anche sul lavoro, tolta la cassa integrazione in deroga non percepita, oggi serviva dare una prospettiva alle imprese. Va bene il sistema della compensazione, ma bisognava finalmente tagliare il costo del lavoro, almeno di cinque o sei punti per le piccole e medie imprese, il che sarebbe equivalso ad un risparmio di circa dieci miliardi di euro che avrebbe consentito alle imprese di riorganizzarsi senza tagliare sul personale».
Un amico imprenditore che ha dieci dipendenti in attività connesse al settore del lusso mi ha detto che all'inizio della pandemia ha collocato in Cigd la metà dei dipendenti, e che certamente non potrà riassumerli, perché le regole sul distanziamento sociale impongono restrizioni forti sull'accesso dei clienti nei negozi, e quindi il personale di banco non potrà essere quello di prima. Questo è un problema di molte aziende.
«È così, ma la brutta notizia non è soltanto per i lavoratori che rischiano di rimanere a casa, ma anche per l'imprenditore che le ha anticipato le sue intenzioni, e sa perché? Avendo previsto soltanto altre cinque settimane di Cigd, se ne usufruirà fino al 14 giugno, ma fino ad agosto non si potrà licenziare nessuno perché c'è il vincolo che non consente licenziamenti. Quindi quello che accadrà è che il suo amico imprenditore non potrà utilizzare i dipendenti perché il distanziamento sociale non glielo consente, ma dovrà anche continuare a sostenere il costo del lavoro di chi non lavorerà. Nel Decreto Rilancio è previsto che fino al 17 agosto non si potrà licenziare chi ha usufruito della Cigd, e si resterà comunque senza ammortizzatori. È un effetto perverso che inasprirà il danno già subito dalle aziende a causa dal covid».

Abbiamo almeno qualche speranza di vedere finalmente avviata la stagione dei cosiddetti grandi appalti?
«Me lo auguro, almeno quello. Ed è ora di dire basta a questa cultura imperante del sospetto. Gli appalti si devono fare, e in fretta; siamo per il modello Genova. Pieni poteri ai commissari, e chi sbaglia paga. Basta con la burocrazia e con questo clima di sospetto. Abbiamo dovuto rinunciare alle Olimpiadi di Roma perché qualcuno diceva che per ogni appalto c'è un ladro. Così non andiamo da nessuna parte».
È abbastanza chiaro che la sua è una visione pessimista di come si sono messe le cose per colpa di questo coronavirus. Provo lo stesso a domandarle se secondo lei questo governo sarà in grado di tirarci fuori da questa crisi.
«Penso che quello che sta accadendo sia addirittura imbarazzante. Serve una'nione forte di tutte le forze presenti in Parlamento. Questo puzzle tenuto insieme con la colla non può servire alla causa del Paese».
Diciamo che anche il puzzle gialloverde che ha preceduto questo giallorosso non ha dato grandi risultati.
«E infatti, nel momento che abbiamo vissuto il trasformismo del M5S, lo abbiamo disfatto in corsa, assumendocene la responsabilità».
Quindi adesso sta perorando la causa di un governo di emergenza?
«No, dico soltanto che questo governo non è all'altezza della situazione e va rimosso. Poi si vedrà».
La politica è tutta concentrata sull'imperativo di salvare l'Italia, ma intanto nelle periferie del Paese, anche in provincia di Frosinone, cosa ci dobbiamo aspettare?
«Quello che succede in provincia di Frosinone è preoccupante, non meno di quanto lo sia la situazione nazionale in generale. Ci sono alcune priorità sulle quali puntare. A cominciare dall'Alta Velocità. Sì insomma, dalla fermata della Tav. Anche se occorrerebbero maggiori certezze. Ma in Ciociaria va sostenuto con forza e con fondi veri il settore industriale. Ci sono troppe crisi aperte e gli imprenditori del territorio sono stati lasciati soli, perché questa è la verità. Sul versante delle infrastrutture, non mi stancherò mai di ripetere che andrebbe potenziato il collegamento viario con Latina. Parliamo di due province strategiche non soltanto nel panorama del Basso Lazio, ma nell'intera prospettiva regionale. Infine, la bonifica della Valle del Sacco: operazione propedeutica sul piano ambientale, economico e perfino sociale».