I sensi di colpa lo stanno divorando, mangia poco, dimagrisce a vista d’occhio, non parla più con nessuno, è diventato l’ombra di stesso. Prima ancora di pagare il conto con la giustizia per i fatti di cui si è reso responsabile, Angelo Dell’Omo, l’agricoltore arrestato per la morte di Luciano Bondatti, l’uomo ucciso da una trappola per cinghiali, i conti li sta facendo con se stesso, con i rimorsi che non gli danno pace.

Dietro la notizia non c’è alcun trucchetto mediatico per muovere a pietà chicchessia. La circostanza è emersa per caso a margine dell’incontro che lunedì scorso si è svolto in Provincia sulla questione bracconaggio. Durante la tavola rotonda uno dei presenti ha riferito che Dell’Omo, attualmente ristretto agli arresti domiciliari, stava uscendo fuori di testa. Per verificare se tale notizia rispondesse al vero, abbiamo interpellato l’ avvocato Nicola Ottaviani, il legale che lo assiste, il quale ha confermato che dal giorno dell’arresto si è trincerato dietro un muro di silenzio. «Non si dà pace - dichiara l’ avvocato - perché non immaginava che quella trappola, per quanto vietata dalla legge e di estrema pericolosità, potesse provocare la morte di un uomo. Dell’Omo continua a dire che quell’ordigno esplosivo era stato piazzato non per cacciare i cinghiali, ma per difendere i propri fondi agricoli che in passato erano stati danneggiati dagli ungulati».

Nulla, purtroppo, potrà riportare in vita Luciano Bondatti. Nulla, purtroppo, potrà lenire il dolore dei familiari della vittima. Certamente non potranno rimediare a tutto questo i sensi di colpa della persona che con il suo comportamento illegale ha dolosamente o colposamente, questo lo stabilirà la giustizia, causato la morte di un altro uomo. D’altra parte però i rimorsi che stanno divorando Dell’Omo rendono più assurdi i contorni della tragedia. Sotto il profilo investigativo e giudiziario tutto sarà più chiaro quando saranno depositate la perizia medico-legale sulla salma di Luciano Bondatti e la relazione dei carabinieri del Ris che hanno effettuato un lungo sopralluogo per ricostruire nei minimi dettagli la dinamica dell’incidente. Gli accertamenti tecnici, tuttavia, potranno fare luce soltanto fino a un certo punto. Sulla vicenda resterà un cono d’ombra che, con tutta probabilità, sarà al centro del processo.

Quella trappola esplosiva - un tubo fucile fabbricato artigianalmente collegato ad un laccio per farlo scattare - era stata veramente piazzata da Dell’Omo a difesa dei fondi agricoli? Non depone a favore dell’arrestato il fatto che non si sia costituito dopo aver appreso della tragedia. Ma potrebbe esserci anche dell’altro. Tra la vittima e l’arrestato, una volta compagni di caccia, non correva più buon sangue e pare si fosse innescata una sorta di rivalità. Il dettaglio potrebbe essere completamente estraneo a quanto accaduto ma è chiaro che, non volendo lasciare nulla al caso, ci si potrebbe chiedere fino a dove si sono spinti questi dissapori, dispetti che nessuno poteva pensare avrebbero potuto portare ad un esito così tragico.