A tutto campo: bilancio di un mandato da sindaco ma anche messaggi politici chiari. Nella prima intervista dell’anno Nicola Ottaviani va a ruota libera.

Allora Ottaviani, che Comune ha trovato e che Comune lascia?
«Dopo 4 anni di lavoro, intenso, quotidiano ma sicuramente gratificante, possiamo dire di aver avviato una trasformazione integrale della città, rendendola effettivamente adeguata rispetto ai livelli di qualità di un capoluogo. Due settimane dopo l’insediamento del giugno 2012, arrivò la comunicazione della Corte dei Conti che prospettava due ipotesi: o il rientro del deficit accumulato nei 20 anni precedenti di circa 50 milioni di euro, oppure la dichiarazione, immediata, di dissesto finanziario. Presentammo un piano di risanamento, spalmando i debiti in 10 anni, e cancellando consulenze e spese superflue che avevano prodotto il disavanzo milionario e, senza poter contare sul ricorso al finanziamento bancario o alla disponibilità del Governo nazionale e regionale, fummo inseriti nella graduatoria dei primi 7 comuni capoluogo italiani ad evitare il dissesto con l’attuazione del programma di risanamento controllato dalla Corte dei Conti e dal Ministero degli Interni. Malgrado quell’enorme fardello di partenza, siamo riusciti ad effettuare investimenti e realizzare nuove opere pubbliche che, in passato, erano state solo sbandierate. Abbiamo acquistato la vecchia struttura del Nestor, trasformandola in uno dei teatri comunali più importanti dell’Italia centrale, affiancando, a questa, anche il teatro Vittoria e restituendo dignità alla cultura nel capoluogo, anche grazie alla istituzione del Festival nazionale dei Conservatori di musica, che porta Frosinone, in estate, i 40 Conservatori più importanti del Paese. Abbiamo realizzato e aperto, in 12 mesi, la nuova sede dell’Accademia di Belle Arti, che rischiava di migrare verso la Capitale e che, oggi, conta centinaia di studenti, provenienti da ogni parte del mondo, che stanno ripopolando il centro storico. Non avevamo i soldi per sostituire neppure una lampadina della pubblica illuminazione, ed ora con la tecnologia a led ed il risparmio energetico, stiamo sostituendo circa 9.000 punti luce, ossia l’intero impianto, entro i prossimi 4 mesi. La Monti Lepini era solo un groviglio di cause in tribunale, e in 2 anni siamo riusciti ad aprire la metà dell’intero percorso, con le quattro rotatorie e l’illuminazione su strada. Abbiamo creato nuovi spazi di aggregazione urbana, sostituendo i depositi di auto con le piazze, come avvenuto a Vittorio Veneto, al quartiere Scalo, alla Santissima Trinità e a piazza Risorgimento, dove stiamo ultimando le procedure di riqualificazione. Dopo quarant’anni abbiamo sbloccato e attivato la costituzione del nuovo stadio al Casaleno, consegnando un impianto di 12.000 posti al gestore che ora, grazie all’apporto prezioso e insostituibile della famiglia Stirpe, sta per diventare il terzo stadio italiano di nuova generazione, nel panorama delle 100 squadre e città italiane più rappresentative, in cui è più semplice spostare i palazzi che non le pile di carte. Con il trasferimento dello stadio, stiamo ottenendo il risultato di una vera e propria rivoluzione urbanistica, realizzando nel quartiere Matusa il parco urbano di un ettaro di verde, le cui progettazioni stanno procedendo speditamente proprio in questi giorni. Credo che in quattro anni, obiettivamente, questi risultati apparissero, almeno inizialmente, assolutamente impensabili».

Presenterà una coalizione soprattutto civica? Che ruolo avranno i partiti, in particolare Forza Italia?
«Sono dell’avviso che i partiti siano essenziali nella disciplina democratica di un Paese, soprattutto in Parlamento o alla Regione. Quando si amministrano, però, gli enti locali, è necessario confrontarsi sui programmi, sugli obiettivi e sulla capacità delle persone, senza farsi distrarre troppo dalle lenti colorate della politica che, tra rosso, bianco e nero, spesso non si rende conto di interpretare solo profili daltonici».

Ma il fatto di non avere ambizioni di candidatura alla Camera o al Senato le concede maggiore libertà di azione nei confronti dei partiti? Fra l’altro, se dovesse vincere sarebbe al secondo mandato.
«Credo che oggi si abbia più possibilità di incidere positivamente per il proprio territorio occupandosi di amministrazione concreta di natura locale, e non di politica parlamentare. Francamente, occupare una seggiola parlamentare insieme ad altri 900 politici, tra Camera e Senato, mi porterebbe lontano dal mio attaccamento naturale e dalla dimensione del territorio, in cui è possibile assistere alla progressione di un’opera che viene pensata, progettata e realizzata nella realtà di tutti i giorni. Indubbiamente, il fatto di non credere che esista una carriera politica, ma solo professionale e sociale, impedisce ai soliti palazzi romani di potermi condizionare sulle scelte amministrative, comunali, indirizzate solo al benessere della comunità locale».

Sul ponte Bailey ha voluto bruciare la Regione?
«Per tre anni, abbiamo ascoltato alcuni rappresentanti della Regione, peraltro l’unico ente competente sul dissesto idrogeologico, portare avanti promesse quotidiane sull’inizio dei lavori, per ricucire la zona alta con quella bassa del capoluogo. Quando abbiamo ricevuto la comunicazione sulla indeterminatezza delle lavorazioni, siamo stati costretti a sostituirci alla Regione, ricorrendo ai migliori tecnici ed imprese italiani ed europei, dando dimostrazione di fattibilità, anche per i progetti ritenuti irrealizzabili. Anziché collaudare il nuovo ponte con il carico classico di 12 tonnellate, lo abbiamo collaudato con tre camion, in sosta per 15 minuti, di circa 140 tonnellate di peso. È diventato, quindi, un ponte addirittura ‘a prova di chiacchiere».

Il suo principale sfidante è Fabrizio Cristofari. In un eventuale ballottaggio teme la sua popolarità?
«Ad oggi, non ci sono sfidanti principali o secondari, perché alle elezioni amministrative può concorrere chiunque, anche con le proprie fantasticherie. Probabilmente, però, se altri avessero avuto il coraggio di portare avanti le elezioni primarie, come noi abbiamo fatto a novembre scorso, la costruzione di un progetto politico sarebbe stata più solida ed il confronto democratico avrebbe potuto beneficiarne. È questo il motivo per il quale, simpaticamente, dissi a Renzi, quando venne al Fornaci village, che non potevo trattenermi, a causa di concomitanti impegni di democrazia, perché ero stato costretto a sobbarcarmi anche le loro primarie, cancellate sul nascere, caso unico in Italia».

Ha incontrato due volte Michele Marini. Dica la verità: ha già un accordo con lui?
«Credo che Marini vada rispettato come tutti gli ex sindaci della nostra città. Il problema delle risposte da dargli, però, riguarda altri e non certamente la mia persona. Non possono esistere, neppure a Frosinone, gli “operai” della democrazia, sfruttati solo a livello elettorale, in contrapposizione ai “nobili” per nascita, prigionieri di un retaggio di natura medievale».

Quanti degli attuali assessori e consiglieri di maggioranza non ricandiderà?
«Un mese fa abbiamo celebrato le primarie aperte e libere, rinnovando anche i metodi e gli schemi per la selezione della classe dirigente, fuori dalle sacrestie e dai vecchi riti di partito. Chi non è stato in grado di comprendere l’importanza di tale innovazione, avrà tempo, nei prossimi anni, per dedicarsi alle letture dell’illuminismo francese, in materia di democrazia, poiché non credo potrà trovare posto nelle liste che depositeremo a primavera, in quanto la frase “Che mi dai in cambio?” è giusto che venga cancellata dal dizionario della politica locale».