Questa volta sono in tre ad aver varcato il Pronto soccorso di Cassino con sintomi che hanno fatto pensare a una sospetta scabbia. E che hanno fatto salire di nuovo il livello d’allerta.

L’arrivo di altri giovani profughi nell’ospedale di Cassino, avvenuto alcuni giorni fa, ha fatto montare - e non poco - la polemica. Così come avvenuto il 16 ottobre scorso, quando l’ingresso in ospedale di cinque immigrati con sintomi preoccupanti (forse affetti da meningite e tubercolosi) ha fatto scoppiare la rabbia dei pazienti in fila, in attesa di essere visitati. Anche in questo caso, già soltanto pronunciare la parola “malattia infettiva” ha sollevato un polverone. E non certo per una questione a sfondo razziale. Uno dei tre ragazzi, tutti poco più che ventenni, ritenuto probabilmente il più grave è stato inviato al reparto Malattie Infettive di Frosinone per approfondire la diagnosi.

La reazione delle persone in attesa, però, è stata davvero forte: mamme con i loro piccoli, anziani sulle barelle. Tutti hanno temuto che fossero contagiosi. In una struttura che conta dal primo gennaio ad oggi oltre 33.000 accessi, con un personale ridotto all’osso, l’arrivo di profughi con malattie (o presunte tali) infettive rappresenta un problema concreto. Occorrerebbe dotare la struttura di un’area dedicata e, magari, implementare il personale presente per poter garantire l’alta professionalità che da sempre contraddistingue il Santa Scolastica dove si lavora giorno e notte, con un’abnegazione unica. Più facile a dirsi che a farsi.

Ora a destare preoccupazione non sono più soltanto i posti letto sempre troppo pochi, gli infermieri e i medici costretti a turni massacranti o la reperibilità degli anestesisti. Il problema, oggi, è quello che racconta di un cambio di passo legato a esigenze nuove e priorità mai affrontate prima.

I profughi vanno di certo aiutati, ma sfruttando magari canali differenti o creando appositi percorsi in grado di non far sentire nessuno in pericolo.