Trecentoquaranta giorni di detenzione trascorsi in condizioni ben lontane da quanto disposto dalla Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo. Quasi un anno, dunque, passato dietro le sbarre del San Domenico per un cumulo delle pene in evidente violazione con quanto riconosciuto dalla Corte di Strasburgo come rispetto della dignità umana.

Tanto che il Tribunale di Frosinone ha accolto le istanze di un detenuto della struttura carceraria di Cassino (ora tornato in libertà), condannando il Ministero della Giustizia al risarcimento del danno.

La questione

Che quella di Cassino rientrasse tra le strutture detentive finite sotto la lente dei sindacati per un problema di sovraffollamento non è una novità. Solo all’inizio del mese la Cisl aveva lanciato un grido d’allarme (per la presenza di 280 ospiti rispetto ai 208 posti previsti) che richiamava alla mente le parole del Sappe: un +35% di detenuti rispetto al limite massimo. Ora questi dati si sono tradotti in sentenza, grazie all’impegno dell’avvocato Gabriele Leone (molto soddisfatto) che ha dimostrato le ragioni del suo assistito, ottenendo un pieno accoglimento del tribunale di Frosinone.

Una sentenza “pilota”, quasi come quella Torreggiani (visto l’argomento), destinata a fare giurisprudenza. Facendo finire Cassino, che invece è sempre balzata agli onori delle cronache per la tempestività degli agenti della Penitenziaria pronti a sequestrare droga e salvare vite, nell’elenco degli istituti - come Busto Arsizio e Piacenza - in cui i ricorsi per violazione dei diritti umani sono stati accolti.

Nel merito

Il detenuto ha presentato ricorso attraverso l’avvocato Gabriele Leone del Foro di Cassino per chiedere di accertare «che durante il periodo di detenzione dei propri diritti, in violazione di quanto previsto dall’articolo 3 della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, a causa dell’inosservanza delle disposizioni di legge (la numero 354 del ‘75 e del relativo regolamento del 2000). E di condannare il Ministero della Giustizia al risarcimento del danno subito in conseguenza della violazione denunciata».

Il Ministero della Giustizia si è costituito in giudizio. Per tutto il periodo di detenzione a Cassino e sino al 7 marzo 2014 (data in cui sono stati concessi al ricorrente i domiciliari) l’uomo era stato detenuto dapprima «in una stanza di 10,33 metri quadrati - calpestabili 9,48 - sino al 2013, ospitante due detenuti. E poi in una stanza di 24,16 metri quadrati ospitanti 6 detenuti e per brevi periodi anche 7, con due letti a castello lunghi 2 metri per 0,90 di larghezza; sei armadietti di 40 centimetri di profondità e 50 di larghezza».

«Lo stesso detenuto ha anche sostenuto di aver condiviso la stanza conaltre5persone» si legge ancora nella sentenza che, ripercorrendo tutti i riferimenti normativi del caso, ha affermato: «La detenzione del ricorrente si è svolta in una cella nella quale era al medesimo assicurato uno spazio mai superiore ai 5 metri quadrati, inferiori a quanto disposto dal Ctp, per tollerare le precarie condizioni di convivenza».

Il ricorso pertanto è stato accolto, come le richieste dell’avvocato Leone (di risarcimento pari ad 8 euro al giorno per il pregiudizio sofferto) con il riconoscimento di 2.752 euro, oltre agli interessi, a carico del Ministero.