Si continua a indagare sulla morte di Sara Bosco, la sedicenne di Santa Severa fuggita dalla casa famiglia di Monte San Giovanni Campano a febbraio e deceduta in circostanze misteriose, mercoledì mattina, in un padiglione chiuso dell’ospedale Forlanini di Roma. Gli inquirenti hanno interrogato la madre, mentre la Procura di Roma ha aperto un’indagine per istigazione al suicidio a carico di ignoti. Povertà e tossicodipendenza, una storia ai margini.

È in questo quadro di degrado e indifferenza che si è consumata la vita di Sara Bosco, morta a soli 16 anni nei padiglioni abbandonati del Forlanini, dove la ragazzina si era rifugiata dopo aver lasciato l’ultima comunità di recupero. «Era una brava ragazza, voleva tornare a casa, non si sarebbe mai uccisa». Queste le parole della madre, Katia Neri, rilasciate in un’intervista al Corriere della Sera. Mamma e figlia, legate da un passato fatto di uso e abuso di sostanze stupefacenti. «A portarla sulla cattiva strada è stato un ragazzo afghano conosciuto a Termini nei mesi scorsi – ha raccontato la donna - è con lui che era stata avvistata spesso a Roma».

La Neri intanto è stata ascoltata come persona informata dei fatti. Le continue fughe, la prima delle quale avvenuta a gennaio, avevano portato proprio la donna a rivolgersi alla trasmissione Rai "Chi l’ha visto?". Ritrovata al Pigneto, Sara era stata affidata al centro di accoglienza per minori di Monte San Giovanni Campano da dove aveva tentato di fuggire calandosi dalla finestra con le lenzuola annodate dal terzo piano della struttura. Precipitata al suolo, era stata ricoverata al Gemelli. Ancora convalescente era finita in una comunità di recupero di Perugia.