Incastrato da un biglietto di auguri sottratto, insieme ai preziosi, durante una rapina. È la prova regina che è costata una condanna a sei anni per un frusinate. Condanna confermata dalla Corte di Cassazione. Pietro Pompili, 44 anni, era imputato di rapina aggravata, sequestro di persona e lesioni personali. In base all’accusa, con un camice da lavoro della stessa azienda del marito della vittima, era riuscito a entrare nell’abitazione della donna, nella contrada di Maniano, con il volto coperto da un passamontagna e brandendo una spranga di ferro. Dopo averla minacciata e legata al letto, aveva asportato una serie di oggetti, provocandole delle lesioni.

La Cassazione, presieduta dal giudice Mario Gentile, ha rigettato il ricorso ritenendo congrua la motivazione della sentenza impugnata. I giudici hanno ricordato che la perquisizione in casa dell’imputato «aveva consentito di rinvenire parte della refurtiva della rapina, cose inequivocabilmente riferibili alla persona offesa, come, tra le altre, un biglietto di auguri a lei diretto recante l’indica - zione del suo nome di battesimo, speditole da suoi parenti». Per la Cassazione qualunque illegittimità della perquisizione «non sarebbe efficace a determinare l’inutilizzabilità del sequestro».

Rimane inoltre incontestato (anche dalla stessa difesa) che «parte della refurtiva sottratta alla vittima dal malvivente che si era introdotto a forza nella sua abitazione» sia stata ritrovata nell’abitazione dell’imputato. Il che porta la Corte a valutare le argomentazioni dell’accusato in base alle quali poteva essere stato il ricettatore, come dallo stesso sostenuto nel processo, senza peraltro saper indicare l’acquirente. «Tale alternativa ricostruzione è del tutto prova di pregio», insiste la Cassazione visto che «gli oggetti della persona offesa ritrovati a casa del Pompili alcuni di valore insignificante, come il biglietto di auguri, che impedisce logicamente di ritenere che l’imputato avesse potuto acquistarli - erano raccolti all’interno di una busta di cellophane nera, identica a quella che la parte offesa aveva visto in mano al rapinatore». All’interno della busta c’era un frammento di guanto in lattice, privo di alcuni pezzi ritrovati in casa della vittima. Crollato anche l’alibi dell’accusato. Da qui la dichiarazione di inammissibilità del ricorso con condanna a 1.500 euro di spese processuali. La vittima della rapina era rappresentata dall’avvocato Nicola Ottaviani.