Il ministero dell’Interno per quindici anni ha versato al Comune di Pastena l’indennità per una dipendente trasferita in mobilità e andata in pensione. Ora il ministero chiede il conto: 429.346,94 euro, oltre agli interessi, in forza di una sentenza del Consiglio di Stato. Che l’amministrazione, finita in dissesto, dovrà pagare in tre anni. Il Consiglio di Stato ha confermato la sentenza del Tar che il Comune, attraverso l’avvocato Massimo Cocco, aveva impugnato. Tutto ruota intorno alla vicenda della dipendente Maria Sebastianelli, già in servizio alle ferrovie dello Stato, trasferita in mobilità al Comune di Pastena nel 1992 e, nel giro di un anno, andata in pensione. L’ente si era limitato a comunicare l’atto alle Ferrovie e non anche al ministero dell’Interno che, per altri quindici anni, finché non si era accorto dell’errore, aveva assegnato all’ente il contributo per mobilità.

Per evitare la restituzione, il Comune ha eccepito di essere in stato di dissesto finanziario e ha chiesto di rateizzare, senza riconoscimento del debito, la somma con il commissario liquidatore. All’opposto il dicastero ha replicato che, «trattandosi di somme vincolate al personale interessato alle procedure di mobilità, la loro gestione rimane di competenza dell’ente», esulando dalla competenza della gestione liquidatoria e che, «non avendo il Comune comunicato al ministero l’elenco del personale cessato dal servizio, l’eccezione di prescrizione non è fondata». La rateizzazione doveva partire nel 2013. A maggio del 2015, il Tar aveva respinto il ricorso dell’ente.

La terza sezione del Consiglio di Stato ha ritenuto non fondato l’appello. A partire dall’eccezione di prescrizione della richiesta ministeriale sul presupposto che l’onere di «comunicare al ministero dell’Interno, entro il 31 gennaio, l’elenco del personale che, trasferito a seguito di mobilità, fosse cessato dal servizio nell’anno precedente» incombesse in capo al Comune. «È evidente - si legge nelle motivazioni - che l’azione di recupero era condizionata alla previa comunicazione dell’elenco». La mancata comunicazione è stata ritenuta un «insormontabile ostacolo di diritto» per il recupero degli importi. Tanto più che il ministero è venuto a conoscenza dell’errore, «casualmente, nel 2010».

Quanto all’altra doglianza del Comune, per i giudici il debito, riferito a una gestione vincolata, va sottratto alla gestione commissariale.  «Trattandosi di somme stanziale dal ministero - scrivono i magistrati - e non dal Comune, la relativa destinazione era quella contenuta nell’apposito capitolo di bilancio del ministero stesso, la cui provenienza il Comune non doveva ignorare». Il fatto che questo «non abbia iscritto le somme in un apposito capitolo di bilancio, lungi dall’attenuare la responsabilità, la aggrava, non potendo esso ignorare di avere ricevuto per quindici anni somme destinate ad una dipendente cessata dal servizio nel 1993 e, anzi, avendo espressamente ammesso e documentato di averle destinate ad altre finalità». L’appello è respinto ritenendosi «pienamente legittimo e anzi doveroso il recupero delle somme» da parte del ministero, «fatta salva la trasmissione degli atti alla Corte dei Conti, ove tale recupero dovesse risultare infruttuoso». Il Comune potrà rateizzare l’importo, maggiorato degli interessi, in tre anni.