Don Cristian Di Silvio, 27 anni, e don Giuseppe Rizzo, 40 anni, sono sacerdoti. L’ordinazione al cospetto del popolo di Dio in una chiesa madre che non riusciva a contenere la folla, e davanti a cento sacerdoti della diocesi. Due storie a confronto, due uomini che hanno scelto Dio per tutta la vita, lontano dalla mondanità, dal divertimento, dalle comodità e distrazioni.

Silenzio, preghiera, povertà, dedizione agli altri: sono solo alcune delle caratteristiche del ministero a cui sono stati chiamati. Entrambi sono di Cassino: Cristian si era appena diplomato all’Alberghiero quando ha deciso di abbandonare tutto per dedicarsi a Dio. Un percorso spirituale, fatto di pazienza e discernimento, e ha varcato le porte dell’istituto Leoniano di Anagni. Oggi, a 27 anni, è un giovanissimo sacerdote che dopo aver servito il Signore da diacono nella Chiesa Madre andrà a Roccasecca. Giuseppe, invece, ha avuto una vocazione più tardiva. È diplomato all’Itis e ha lavorato per alcuni anni in una fabbrica dell’indotto Fiat. Ma qualcosa “bruciava” nel suo cuore fino a quando la chiamata del Signore non si è manifestata in tutta la sua bellezza. Così a 34 anni ha lasciato ogni cosa e, anche lui, è entrato ad Anagni. Cristian e Giuseppe, “compagni di classe” in seminario, giovedì sono diventati sacerdoti insieme.

A celebrare la santa messa c’era il vescovo Gerardo Antonazzo che ha richiamato,con parole commoventi e piene di significato, la vita di questi due giovani preti come “opera della misericordia di Dio”. «Non ci siamo fatti con le nostre mani ma, dall’eternità, da quando siamo stati da Lui pensati, da sempre e per sempre, siamo opera della Sua misericordia. E quest’opera si è compiuta in maniera piena nella Pasqua di Gesù quando l’uomo è stato innalzato all’antico splendore. Potenziato da Dio che ci redime dal peccato e dalla colpa. Il Signore risplende ancora di più nella vostra vita, concedendovi di vivere uno stato di grazia, dopo aver benedetto la vostra vita nell’evento battesimale, ora la consacra, la conferma a Cristo, servo dell’umanità».

La bellezza della parola di Dio ha intessuto la trama dell’omelia, tante le figure bibliche richiamate dal vescovo che, a un certo punto, ha sottolineato l’essenzialità del vivere: «A Dio non servono le apparenze, perché con esse si possono ingannare tutti, ma non Dio che guarda al cuore».

Poi un richiamo forte al ministero: «Benedire, ringraziare, piegarsi, servire senza distinzione e diventare servi di tutti, servi ultimi e umiliarsi. È la regola del cenacolo, noi non abbiamo altri voti da applicare. E questa la nostra fecondità spirituale. Ma non dimentichiamo che Giuda non sta fuori noi ma dentro di noi. La possibilità della debolezza, del tradimento, della fragilità, del ripensamento è di tutti: facciamo il modo che il Signore possa liberare la nostra interiorità da ogni tentazione che potrebbe indebolire e ledere la dignità sacra della nostra consacrazione al Signore».

Dal cenacolo al Getzemani fino al Golgota e al sepolcro vuoto con l’annuncio che Cristo è veramente risorto. Con questo augurio, quello di vivere in questa pienezza di coscienza, il vescovo ha ordinato i due nuovi sacerdoti, “pastori” per il popolo, ancore per gli ultimi, faro per i dispersi nella fede, vere sentinelle dell’annuncio cristiano.