Usciamo da Acea. Torniamo all’acqua pubblica. Risolviamo il contratto. Ipotesi, proclami, diktat, slogan: Acea nel corso degli anni in provincia di Frosinone è diventato il minimo comune denominatore dei sindaci difensori del territorio, degli amministratori convinti che sulla “guerra dell’acqua” avrebbero costruito le loro fortune. Presenti e future. Ieri tutte queste voglie, queste fantasie, queste intenzioni, più o meno sane, hanno trovato spazio e forma nell’assemblea che ha fatto registrare il solito pasticciaccio dei sindaci.

La stessa assemblea che ha dato avvio al procedimento per la risoluzione del contratto e si è pronunciata a sfavore sulla fusione tra le due società di Acea che gestiscono il servizio a Roma e Frosinone. Non ci hanno mai appassionato, e i nostri lettori ce lo riconoscono ogni giorno, le posizioni preconcette e quelle più facilmente somministrabili alle maggioranze del momento. Alle opinioni di moda. Quando per esempio molti degli attori (sindaci e politici oggi chiamati al voto) applaudivano al costruendo aeroporto, prenotavano i biglietti e si affannavano a raccomandare le loro hostess preferite, siamo stati tra quelli a segnalare l’impossibilità di quel progetto. Che se pur pieno di fascino e appeal si scontrava con gli interessi consolidati e insuperabili di uno dei più grandi operatori internazionali del settore: l’Adr, quello che gestisce gli scali della capitale.

Ostacolo più insuperabile di tutte le eventuali barriere burocratiche tra la bella idea di Scalia e il sogno di un territorio. Oggi, come allora, nel giorno dei tanti trionfalismi di sindaci finti Robin Hood, la sensazione è che si stia solo mettendo in campo una “bella idea” senza fondamento. Senza un’attenta analisi delle criticità oggettive, del “giudicato” ormai inappellabile, di quanto “pietrificato”da sentenze definitive. La “bella idea”, come sempre accade, è corredata, nelle dichiarazione dei sindaci ai loro cittadini, dal solito conto delle “belle idee” nostrane.

Quel conto in cui alla colonna dei benefici non corrisponde mai quella dei costi. E quindi nessuno a dire che intanto tutto questo costerà altri milioni di euro di parcelle ai soliti noti (ma che sia proprio questo lo scopo di alcuni?), che la strada del contenzioso è lunga, irta e piena di trappole, che l’avversario è lo stesso che il servizio deve comunque erogartelo nel frattempo con tutte le incognite del caso e che, alla fine dei giochi, la costosissima “bella idea” potrebbe pure portare a quello che i cronisti sportivi definiscono “uno squallido zero a zero” con stessi costi, stesse tariffe, servizio in linea con gli standard attuali e altri debiti (quelli del contenzioso) riversati sulle bollette dei poveri utenti.

Ora tutti ad applaudire l’avvio dell’iter per la risoluzione del contratto, tutti a “soffiare” sul fuoco di chi si sente vessato, di chi pensa di pagare troppo, di chi rimembra un passato non più sostenibile nel quale l’acqua era somministrata a mo’ di “benefit” politico e non di “bene” da gestire e distribuire con attenzione come invece dovrebbe essere adesso. Nessuno che faccia un po’ di “mea culpa”. Che riesca a comprendere che i famosi “beni comuni” oltre all’acqua dovrebbero essere anche l’elettricità, l’etere dove vengono irradiate le onde con le quali comunichiamo, magari anche il gas e tutto quanto mette a disposizione madre natura. Ma nessuno si sogna di chiedere risoluzioni contrattuali ai gestori del gas, a chi commercia in frequenze radio e a chi distribuisce elettricità. Certo è che la natura del contratto e del servizio negli anni è stata, per non esagerare, sicuramente spiegata male. Si passava dall’anarchia alla regolamentazione. Dal niente assoluto a un gestore che avrebbe dovuto organizzare, risolvere disservizi, ricostruire la rete, distribuire e raccogliere l’acqua.

Ma oltre a fare i conti con impianti colabrodo il gestore avrebbe dovuto pensare, e di più, ai rapporti con l’utenza. A farsi “comprendere e accettare” dal territorio. A spiegare di più e meglio ciò che era cambiato. A rendere più “visibile” la differenza tra ciò che sarebbe stato il servizio in mano ai sindaci e quello che invece, con tutti i disservizi, è oggi. Un gestore più attento a non essere opprimente con le bollette, più “amico” (magari senza risparmiare sulla qualità e la nazionalità dei call-center), più attento a distribuire risorse, lavoro e opportunità. Insomma, una multinazionale “local” che avrebbe impattato di meno sulle fantasie smodate e sui facili populismi di tanti sindaci e politici in cerca dell’ultima frontiera di consenso.

Oggi, dunque comincia un’altra lunghissima fase di contenzioso che non promette nulla di buono. Con un esito già scritto e del quale difficilmente riuscirà a salvarci nessuna sentenza definitiva. Forse, ed è molto improbabile percome stanno le cose, alla fine cambierà il gestore. Continueremo però a pagare l’acqua. E le diatribe di oggi, vedrete, avranno solo lo sgradito effetto di renderla, purtroppo, assai salata. E questo cari lettori, molti dei vostri sindaci lo sanno bene. Troppo bene.