Indagini, sequestri, commissioni dâinchiesta, processi, condanne, ordinanze, rivelazioni choc, procedure dâinfrazione dellâUnione Europea. E poi soldi, tanti soldi, tour in pullman, interrogazioni parlamentari. In questi anni non è mancato nulla, ma nonostante questo i veleni in Ciociaria sono rimasti indisturbati per decenni.Â
à quello che è accaduto con la ex discarica di Arpino, quella che si trova tra Costecalde e Selvelle. Trentâanni di sviste, ritardi, omissioni, sicuramente sprechi. Soltanto ora, con lâamministrazione guidata dal sindaco Renato Rea, in carica da due anni, si stanno adottando i provvedimenti per venire a capo di una faccenda che dire complicata è poco.Â
Lâapertura
La discarica, di proprietà della società Industria Cartier Carta srl, entrò in funzione nel 1983 con unâautorizzazione della Regione Lazio per accogliere rifiuti speciali, a quanto pare fanghi industriali. Nel 1985 scaddero i permessi ma il sito di Costecalde, illegalmente, ha continuato a ricevere rifiuti di ogni tipo almeno fino al 1994 come dimostrato dalle foto aeree. A nulla valse lâordinanza emessa dal Comune nel 1989 in cui si intimava di sospendere ogni attività di smaltimento. A nulla servì nemmeno la condanna che il Pretore di Sora inflisse al proprietario del sito nel 1988 con unâammenda di tre milioni di lire.Â
La vicenda passò anche allâattenzione della Procura di Cassino che nel 1999 comunicò al Comune che lâattività di smaltimento era avvenuta in maniera totalmente illegale, senza la benché minima precauzione per evitare le infiltrazioni di percolato prodotto, scriveva la Procura, da rifiuti speciali, tossici e nocivi. Lâanno prima, nel 1998, il Comune aveva intimato ai proprietari di procedere alla messa in sicurezza e alla bonifica dellâarea. Ordinanza che, nemmeno a dirlo, è rimasta lettera morta.Â
Il soccorso pubblico
Le responsabilità del ripristino ambientale sono quindi ricadute sul Comune che, grazie ad accordi sottoscritti con la Regione, tra il 2002 e il 2010, ha ottenuto circa 600.000 euro. Soldi che sono stati utilizzati per opere preliminari alla bonifica vera e propria (mai avvenuta), per rimuovere pannolini (seppure in quantità spropositata) e macchinari. Insomma, pannicelli caldi.Â
Il grosso dei rifiuti, i veleni, stanno ancora lì. E ora sì arrivati come al solito al paradosso. Da un lato il Comune è impegnato a chiudere la rendicontazione delle attività , poche e inutili, effettuate finora con fondi europei e regionali; dallâaltro lâente municipale deve attingere dalle proprie casse per portare avanti un passagio fondamentale che dopo 30 anni incredibilmente non è stato ancora svolto: vale a dire il piano di caratterizzazione (cioè individuare quale è il tipo di inquinamento che caratterizza il sito).Â
«Stiamo cercando di fare il possibile per recuperare il tempo perduto - dice lâassessore allâambiente Antonio Venditti - ma si tratta di interventi onerosi. Fortunatamente abbiano attivato una gestione virtuosa della raccolta differenziata e i soldi che risparmiamo li destiniamo alle ex discariche. Purtroppo però questo ci impedisce di abbassare le tariffe della tassa sui rifiuti». Appunto, un paradosso.Â
I fusti
Nei ventre del Comune più virtuoso per la raccolta differenziata, giace lâeredità di tempi in cui lo smaltimento avveniva in maniera criminale. Si tratta dei fusti che nel periodo in cui la discarica funzionò illegalmente, vennero interrati. Quanti fusti ci sono? Cosa câè dentro? Sono ancora intatti? Da dove provengono? Domande ancora senza risposta. Le masse metalliche sono state individuate dallâInvg e nelle settimane scorse lâamministrazione Rea ha dato incarico ad un geofisico, il dottor Maurizio Felici, di approfondire la questione e capire veramente di cosa si tratti. Lâassessore Venditti racconta: «Io sono cresciuto da quelle parti, a monte Carnello e ricordo che negli anni Novanta, quando avevo 15 anni, i residenti si mettevano in mezzo alla strada per bloccare i camion che di notte si dirigevano verso la discarica per scaricare non si sa cosa».Â
Eredità pericolosa
Nel frattempo, accanto al mistero dei fusti, câè da risolvere anche la matassa della proprietà . Pure questâaspetto, sebbene di fondamentale importanza per avviare la procedura in danno, non è stato esaminato per bene. La titolarità del sito è passata dai figli ai nipoti dellâoriginario proprietario. Nel frattempo però non è ancora chiaro se câè stata una rinuncia allâeredità . Questo particolare, prima di avviare qualsiasi iniziativa stragiudiziale per il recupero dei soldi pubblici anticipati finora, dovrà essere approfondito dallâavvocato Emiliano Tersigni che sempre nelle settimane scorse ha ricevuto lâincarico dallâamministrazione comunale. Non solo. Lâavvocato si dovrà occupare anche di ricostruire più in generale la cronistoria del sito, compresi i finanziamenti, gli interventi serviti a poco o nulla, i ritardi, le sviste, le eventuali omissioni. Auguri.